Scene di vita del Regno di Napoli nelle opere di Luigi del Giudice
Le opere di Luigi del Giudice raccontate da Katia Fiorentino, storica dell’arte, già funzionario del Ministero per i Beni e le Attività Culturali e per il Turismo.
Pittore e miniatore della Real Fabbrica di Porcellana di Napoli, ingiustamente trascurato dalla critica, Luigi del Giudice (Napoli 1764 ca – post 1829) illustra con accuratezza di particolari la movimentata vita che si svolgeva nelle varie contrade del Regno di Napoli, preziosa testimonianza delle tradizioni locali del Paese
Luigi del Giudice (Napoli 1764 ca – post 1829)
Costumi della Provincia di Principato Ultra. Passaggio della Scafa del fiume Sabato. Montefalcione, Paduli, Montecalvo, Fragnito, Airola, Ariano /del Giudice inc. e fe.t
Incisione ad acquaforte acquerellata
Napoli, Museo e Real Bosco di Capodimonte. Gabinetto Disegni e Stampe, inv. 3551
Luigi del Giudice (Napoli 1764 ca – post 1829)
Costumi della Provincia di Principato Ultra. Festa di Montevergine. S.Angelo dei Lombardi, Lioni, Castel Franci, Volturara, Bisaccia, Bagnoli, Guardia Lombardi\ L. del Giudice Invenit e Fecit
Incisione ad acquaforte acquerellata
Napoli, Museo e Real Bosco di Capodimonte. Gabinetto Disegni e Stampe, inv. 3551
Nelle due stampe acquerellate di Luigi del Giudice sono illustrati alcuni momenti di vita popolare ambientati nella Provincia del Principato Ultra che, secondo la divisione amministrativa in dodici province effettuata dal Regno di Napoli, comprendeva buona parte delle attuali province di Avellino e Benevento.
Il primo foglio raffigura una scena campestre ambientata sulle sponde del fiume Sabato: in primo piano affollano la composizione una serie di gruppi di contadini che indossano gli abiti della festa di alcuni paesi del Principato Ultra, che, come si evince dalla didascalia, comprendeva i paesi di Montefalcione, Paduli, Montecalvo, Fragnito, Airola, Ariano.
Sullo sfondo la veduta offre una dettagliata ripresa dell’attraversamento del fiume con la Scafa, un traghetto fissato ad una fune che serviva per collegare le due rive impedendo alla barca di essere trascinata a valle. Di tale stampa si conoscono altri esemplari, uno acquerellato conservato nel Museo di Arti e Tradizioni Popolari di Roma ed un altro in deposito presso il Museo Irpino di Avellino.
Nella seconda incisione è rappresentata la tradizionale Festa di Montevergine, caratterizzata dalla gioiosa atmosfera dell’evento legato all’avvenimento sacro con un tripudio di popolani del luogo agghindati a festa ripresi durante la scampagnata con le tradizionali vestiture dei paesi di S. Angelo dei Lombardi, Lioni, Castelfranci, Volturara, Bisaccia, Bagnoli, Guardia dei Lombardi.
Tra le più sentite dalla popolazione campana, la ricorrenza religiosa di Montevergine venera la Madonna nera detta Mamma Schiavona, nel Santuario situato sul monte Partenio, dove in passato si arrivava a piedi o su carri decorati con fiori e nastri colorati.
Nel ritrarre le diverse maniere di vestire dei regnicoli, caratterizzate da una fervida fantasia nella elaborazione di motivi folkloristici (R. Causa), lo stile del pittore e miniatore della Real Fabbrica di Porcellana di Napoli, Luigi del Giudice, si distingue per la resa minuziosa dei particolari, per l’accuratezza dei dettagli nelle acconciature e nelle fisionomie e nella capacità illustrativa della movimentata vita che si svolgeva nelle varie contrade del Regno di Napoli.
Illustratore per eccellenza delle usanze e dei costumi di vita popolare, fu allievo a partire dal 1777, insieme al contemporaneo Saverio della Gatta, tra i più noti interpreti della pittura di costume dell’epoca, di Jacopo Cestaro professore dell’Accademia di Belle Arti di Napoli.
Tranne sporadiche apparizioni in mostre e cataloghi, del Giudice ancora oggi non ha ricevuto da parte degli studiosi un adeguato riconoscimento, fatta eccezione per la lettura critica di Franco Mancini, che ne ha esaltato, nonostante una certa insistenza calligrafica ed una freddezza del tratto che riflette la temperie neoclassica, la qualità del disegno, il vivace cromatismo, l’accurata disposizione dei personaggi, distinguendo la sua opera dalla produzione che di lì a poco avrebbe inondato il mercato.
Nella scelta dei soggetti e nell’impianto delle figure, l’artista risulta meno legato alla pittura, anche se risente dell’influenza dell’inglese Pietro Fabris, autore della celebre Raccolta di varii Vestimenti ed Arti del Regno di Napoli, dedicata nel 1773 al nobile ambasciatore di Gran Bretagna presso la Corte borbonica, sir William Hamilton, volume che contribuì in modo determinante alla diffusione delle immagini di costume divenendo un modello di riferimento per la grafica successiva.
Ileana Creazzo ipotizza che dietro questa serie potrebbe esserci un progetto di committenza reale di documentazione dei costumi del Regno da cui trarre immagini a stampa da colorare a mano.
Alcune precisazioni biografiche sull’attività del pittore si devono grazie alla pubblicazione di alcuni dati documentari d’archivio.
Da una lettera autografa dell’aprile del 1821, conservata nelle carte del Genio Militare di Procida presso l’Archivio di Stato di Napoli, del Giudice fa una petizione al re, in qualità di primo brigadiere della real compagnia degli alabardieri e tenente del reale esercito, per ricevere qualche mensile di elemosina, richiedendo di poter alloggiare in qualche padiglione militare (C. Fiorillo).
La difficile situazione di indigenza dell’artista risulta testimoniata anche da un documento del 1829, pubblicato da Angela Caròla-Perrotti, dove è riportato che il pittore, d’anni 65 circa, antico Uffiziale, fin dalla fondazione della Real fabbrica della Porcellana in qualità di Pittore e di Miniatore, aveva perso l’impiego ed il sussidio nel momento del passaggio dalla manifattura reale borbonica alla società francese del Poulard Prad e che per l’indefessa fatiga di notte, e di giorno, dal medesimo sostenuta sui disegni in acquarello a miniatura, per procacciarsi il pane; è divenuto cieco a modo di non poter più travagliare. E che pertanto era stato costretto ad implorare la concessione di una pensione fino ad allora ancora non assegnatagli.
Nella ricca produzione dell’acquerellista e miniaturista napoletano, presente sia in collezioni pubbliche e private che sul mercato antiquario, costituita prevalentemente da scene di genere di vita popolaresca e da costumi regionali, si segnala la prestigiosa serie di sette tempere conservate nel museo di San Martino, tutte firmate e datate tra il 1811 e il 1813: Costumi della Provincia di Calabria Ultra, Festa di S. Bruno in Serra, Andata a Matrimonio che si costuma in Falconara, Costumi della Provincia di Capitanata, Costumi principali della provincia di Napoli, Festa di Piedigrotta, Costumi del Distretto di Castrovillari.
Le tempere, oltre ad offrire una puntuale descrizione delle varie vestiture popolari, sono anche una preziosa testimonianza delle tradizioni locali del Paese.
Ileana Creazzo ipotizza che dietro questa serie potrebbe esserci un progetto di committenza reale di documentazione dei costumi del Regno da cui trarre immagini a stampa da colorare a mano.
Altre sue opere, sempre di costumi e di feste popolari, si trovano presso il Museo delle Arti e Tradizioni Popolari di Roma, presso la Società Napoletana di Storia Patria, al Museo Irpino di Avellino ed ancora nella raccolta romana di Savo Raskovic, dove si conservano alcuni fogli firmati con soggetti dell’isola di Procida e nella collezione Zerbi-Bosurgi di Reggio Calabria, che custodisce diverse tempere ed acquerelli raffiguranti il costume calabrese.
Nell’ultimo quarto del Settecento e poi a seguire nell’Ottocento, si andò sviluppando nel capoluogo partenopeo, meta culturale privilegiata dai viaggiatori del Grand Tour, un grande interesse per l’illustrazione di costume, considerato come un genere minore alla stessa stregua della pittura di paesaggio.
A testimonianza della richiesta sempre più pressante da parte di collezionisti in cerca di souvenirs di soggetto popolaresco, resta la grande varietà di incisioni monocrome o acquerellate a mano, litografie, disegni, gouaches, raccolte in volumi o sciolti, ad opera di artisti specializzati in questo settore.
Ma fu grazie all’interesse personale di Ferdinando IV di Borbone per i differenti modi di abbigliarsi del popolo delle Province del Regno delle Due Sicilie che, a partire dal dicembre del 1782, si dette inizio ad una sistematica operazione di ricognizione dal vero delle più caratteristiche vestiture popolari, suggeritegli dal colto e raffinato marchese Domenico Venuti, direttore della Real Fabbrica di Porcellana, al quale si deve il primo ed ufficiale rilevamento iconografico delle vestiture dei regnicoli nel Meridione.
La partecipazione e l’attrazione del sovrano borbonico per gli aspetti del vivere popolare era ben testimoniata dagli affreschi dipinti dal pittore tedesco Philipp Hackert per il real sito di Carditello, andati perduti, ma di cui rimangono due significativi bozzetti preparatori, conservati al Museo di San Martino, con La Mietitura e la Vendemmia a Carditello, dove tutti i membri della famiglia reale vengono ritratti in posa indossando il tipico abbigliamento rurale dei contadini.
Philipp Hackert, La Famiglia Reale alla mietitura a Carditello
Olio su tela, Napoli, Museo Nazionale di San Martino
Philipp Hackert, La Famiglia Reale alla vendemmia a Carditello
Olio su tela, Napoli, Museo Nazionale di San Martino
Il reportage, commissionato inizialmente per rinnovare i soggetti decorativi delle porcellane reali, vide l’avvicendarsi di una serie di coppie di artisti, che fino al 1798, per quasi quindici anni, tra soste e interruzioni varie, si spostarono per registrare con dovizia di particolari i differenti abiti da cerimonia caratteristici delle popolazioni dei piccoli centri del Sud.
Secondo gli intendimenti reali queste immagini dovevano servire esclusivamente per le decorazioni pittoriche sulle porcellane prodotte dalla Real Fabbrica Ferdinandea. Per evitarne il commercio illecito, Ferdinando pose sulle stampe uscite dai torchi reali una privativa con l’intento di bloccare ogni tentativo di falsificazione.
Ma il successo crescente suscitato da questo genere di soggetti, favorito da un circuito commerciale sempre più fiorente, comportò un’ampia divulgazione delle incisioni tratte dai disegni, con la replica in proprio dei motivi figurativi popolareschi da parte degli stessi artisti per destinarli alla vendita.
Sul repertorio di questi esemplari settecenteschi si andarono semplificando nel corso dell’Ottocento le successive raccolte di opere di autori locali, ma anche stranieri, spinti da una richiesta in continua espansione da parte di una committenza desiderosa di riportare in patria, oltre che i ricordi dei luoghi visitati, anche le suggestioni di quel “paradiso popolato di diavoli”, espressione con cui Goethe identificò in modo indelebile la natura degli abitanti di queste terre.
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