
L’Italia chiamò – Capodimonte oggi racconta… la Fuga in Egitto di Battistello Caracciolo
Per la rubrica L’Italia chiamò – Capodimonte oggi racconta… il curatore americano Christopher Bakke che supporta il dipartimento scientifico del Museo e Real Bosco di Capodimonte grazie al sostegno dell’associazione American Friends of Capodimonte in costante collaborazione con l’associazione italiana Amici di Capodimonte onlus, ci parla della Fuga in Egitto di Battistello Caracciolo, opera di grande raffinatezza pittorica destinata alla devozione privata, di uno dei primi seguaci napoletani di Caravaggio.
Battistello Caracciolo (1578-1635) è riconosciuto come uno dei primi seguaci napoletani di Caravaggio, forse il primo.
Le sue opere sono esposte nei più importanti musei del mondo, tra i quali il Metropolitan Museum of Art, l’Hermitage, il Kunsthistorisches Museum a Vienna, e il Gemäldegalerie a Berlino.
Roberto Longhi lo definì:
“il fondatore della scuola napoletana e, diciamo, il più grande dei napoletani.”
Perchè l’arte di Battistello merita tanti elogi?
Senza dubbio il suo contatto diretto e addirittura personale con Caravaggio l’ha reso famoso.
Un disegno appartenente alla collezione di Capodimonte e datato successivamente alla cappella Contarelli nella chiesa di San Luigi dei Francesi, la Vocazione di San Matteo, realizzato dal maestro di Battistello, il pittore di affreschi greco o albanese Belisario Corenzio, suggerisce che Battistello abbia conosciuto il lavoro di Caravaggio prima di trasferirsi a Napoli.
Documenti bancari riemersi nell’ultimo decennio dimostrano che i due artisti – Caravaggio e Battistello – avevano rapporti finanziari già prima che Caravaggio cominciasse a lavorare a Napoli sette anni dopo.
Lo storico dell’arte Francesco Abbate ha ipotizzato che il gruppo ellittico di figure della Madonna con bambino in gloria di Battistello conservato a Catanzaro è la prova che l’artista ha assistito alle sperimentazioni delle diverse composizioni che Caravaggio fece per le sue Sette opere della Misericordia al Pio Monte della Misericordia a Napoli.
Nel 1607, lo stesso anno della pala d’altare spartiacque, Battistello eseguì l’Immacolata concezione per la chiesa di Santa Maria della Stella in cui riprende non solo il chiaroscuro e il naturalismo caravaggeschi, ma anche il gruppo di figure celesti del registro superiore del dipinto.
La pala d’altare è impensabile senza il precedente caravaggesco.
La collezione di Capodimonte è arricchita da circa una dozzina di opere di Battistello, tra le quali la Fuga in Egitto.
Il soggetto, tratto dal Vangelo di Matteo, era popolare tra gli artisti del diciassettesimo e del diciottesimo secolo.
Battistello rappresentò questo soggetto – o quello simile del riposo durante la fuga in Egitto, tratto dal Vangelo dello pseudo-Matteo – in quattro versioni differenti.
La prima è una composizione nota come la Trinità terrestre, che Battistello dipinse nel 1617 per la chiesa della Pietà dei Turchini a Napoli.

Trinità terrestre
1617
Chiesa della Pietà dei Turchini, Napoli
L’artista ritrae Maria e Giuseppe che tengono per mano il giovane Gesù durante la loro camminata verso l’Egitto.
I tre membri della Sacra Famiglia sono guidati, nella parte superiore del dipinto, da Dio, dallo Spirito Santo e da un gruppo di angeli, che testimoniano il continuo riferimento di Battistello alle Sette Opere di Misericordia di Caravaggio, anche dopo dieci anni dalla sua realizzazione.
La Trinità terrestre, ancora in situ, è una delle pale d’altare più grandiose di Battistello, e, molto probabilmente, accolta all’epoca con grande successo, poiché il pittore riprenderà la composizione e i soggetti negli anni seguenti.
Battistello raramente realizzava copie, ma le sue diverse versioni della Fuga in Egitto rappresentano un’eccezione.
Un anno dopo il dipinto della Pietà dei Turchini, Battistello era a Firenze, dove creò una nuova versione della Fuga in Egitto, ora a Palazzo Pitti.

Fuga in Egitto
1618
Palazzo Pitti, Firenze
Si tratta di una rappresentazione più tradizionale del tema, in cui l’artista adotta un tono più calmo e domestico, omettendo l’imponente figura del Dio Padre.
Otto anni dopo, Battistello farà ritorno alla composizione della Trinità terrestre per una copia destinata alla chiesa francescana di Santa Maria di Gesù a La Valletta.

Trinità terrestre
1626
Chiesa francescana di Santa Maria di Gesù, La Valletta, Malta
La Fuga in Egitto di Capodimonte snellisce maggiormente la narrazione rispetto alla versione di Palazzo Pitti.
La seconda include un San Giovanni Battista in una posa forzata che indica l’agnello sacrificale, e una cesta di vimini retta da Giuseppe, meticolosamente resa, che contiene libri, pane e attrezzi da falegname: è probabilmente la natura morta più convincente che Battistello abbia mai dipinto.

Fuga in Egitto
particolare
1618
Palazzo Pitti, Firenze
Nella versione di Capodimonte, realizzata intorno al 1622-25, Battistello rimuove gli ornamenti pittorici e riduce la composizione alla sola sacra famiglia con l’asinello.
Non ci sono dubbi che questa composizione piccola e orizzontale fosse destinata alla devozione privata.

Fuga in Egitto
1622-25 circa
olio su tela
inv. Q 1086
Museo e Real Bosco di Capodimonte
La bellezza in un’opera così umile deriva dalla resa del corpo umano eseguita da Battistello.
Nonostante tutta l’enfasi posta sull’adozione quasi preveggente dello stile caravaggesco da parte dell’artista napoletano, Battistello rimane curiosamente legato alla propria visione artificiale delle forme corporali.
I suoi visi sono spesso simili a maschere, come nel Miracolo di Sant’Antonio di Padova (1620 ca.), suggerendo che, come Georges de la Tour, Battistello era affascinato dalla possibilità dell’astrazione geometrica permessa dalla tecnica del chiaroscuro.

Miracolo di Sant’Antonio da Padova
1620 circa
olio su tela
Museo e Real Bosco di Capodimonte
Ma ciò che spicca più di tutto è la bizzarra rappresentazione delle spalle.
Il disegno è così particolare e unico, che non può che trattarsi di una deliberata scelta artistica.
Battistello, al contrario di Caravaggio, intraprese il suo apprendistato artistico alla fine del sedicesimo secolo, all’interno di un clima napoletano di florida cultura visiva manierista.
Anche dopo aver sperimentato la sconvolgente rivoluzione del naturalismo caravaggesco, la vena manierista non lasciò mai Battistello; tanto è vero che, entro gli anni venti dei Seicento, l’artista la riprese.
Proprio in quegli anni, infatti, Battistello si stava occupando del restauro delle opere nelle chiese napoletane di Santa Maria la Nova e di San Gregorio Armeno, realizzate dall’artista maggiormente responsabile dell’introduzione dello stile manierista nord europeo della scuola di Fontainebleau e di Bartolomeus Spranger nel vocabolario artistico napoletano: il fiammingo Dirck Hendricksz (talvolta chiamato Teodoro d’Errico).
L’espediente visivo preferito da Battistello è la contorsione delle figure per fare in modo che il profilo delle loro spalle sia visibile.
Le spalle sono quasi sempre nude e appaiono in tensione, come se fossero rivolte in maniera innaturale verso avanti o verso dietro. Caravaggio aveva già realizzato figure utilizzando questa posa poco comune, come nel Bacchino malato (Roma, Galleria Borghese) e nel Ragazzo morso da un ramarro (Londra, National Gallery; Firenze, Fondazione Roberto Longhi), e possiamo presumere che Battistello avesse familiarità con queste opere giovanili.
Nonostante ciò, è comunque difficile comprendere il suo peculiare e duraturo ricorrere a questo motivo.
La migliore spiegazione la ritroviamo nelle lettere che danno una descrizione fisica dell’artista, scritte dai membri della corte del Granduca di Toscana Cosimo II, il mecenate di Battistello durante il suo breve periodo fiorentino verso la fine del primo decennio del Seicento.
Una lettera ci dice che l’artista aveva la gobba. Per questa ragione, le spalle di Battistello erano incurvate verso avanti, e l’artista, per assumere una posa corretta, doveva spingere le sue spalle verso dietro e in alto.
Per dipingere le sue figure, ci si può immaginare l’artista che si guarda lateralmente allo specchio, irrigidendo i muscoli delle spalle, e dipingendo una versione di sé stesso.
Le torsioni del corpo umano sono temi dominanti nell’arte di Battistello. È come se l’artista abbia conservato le pose innaturali tipiche del manierismo, trovando poi nel realismo senza precedenti di Caravaggio la licenza necessaria per rompere con le esagerazioni sovraumane manieriste del corpo.
Oltre l’espediente ricorrente delle spalle, i suoi corpi appaiono spesso compressi, o rannicchiati in posizione fetale, come se necessitassero la protezione da parte di un’altra figura del dipinto.
I temi di Battistello – quasi senza eccezioni tutti religiosi – sono quelli in cui i protagonisti sono scheletrici e miti. Nei loro movimenti, sembrano ritrarsi alla presenza del divino, quasi come se ne fossero sopraffatti.
Nella Fuga in Egitto, la figura del Cristo bambino è un classico esempio dello stile di Battistello. Le sue spalle sono ben in vista, e il suo corpo è compresso in una forma a Z.
Le inusuali pose di Battistello – troppo artificiali per essere naturalistiche, troppo realistiche per essere manieriste – ci donano il brano più toccante del dipinto: le piccole mani del Cristo rivolte verso il basso, poste l’una sopra l’altra con le dita piegate verso l’interno, che cadono nel grande palmo aperto della mano di Maria.

Fuga in Egitto
1622-25 circa
particolare
Museo e Real Bosco di Capodimonte
Una forma singolare, triplata, un’allusione alla precedente interpretazione di Battistello della Fuga in Egitto come la Trinità terrestre.
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Il testo di Christopher Bakke è inserito nell’iniziativa “L’Italia chiamò – Capodimonte oggi racconta”.
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