L’Italia chiamò – Capodimonte oggi racconta… Balla a Capodimonte
Per la rubrica L’Italia chiamò – Capodimonte oggi racconta… Mariaserena Mormone, già curatore delle raccolte dell’Ottocento del Museo e Real Bosco di Capodimonte e direttore del Gabinetto dei Disegni e delle Stampe, illustra, analizzando ritratti di figure della borghesia romana del tempo, il periodo “pre-futurista” di Giacomo Balla (Torino 1871 – Roma 1958) caratterizzato da ricerche cromoluministiche e da sperimentazioni in chiave divisionista.
Nel 1987, appena ricevuto l’incarico di responsabile delle raccolte dell’Ottocento del museo di Capodimonte, ho avuto l’opportunità di ritirare da casa Carelli a Napoli lo straordinario ritratto La famiglia Carelli curandone subito dopo una mostra con relativo catalogo.
L’esposizione, attraverso una ventina di dipinti risalenti agli anni tra il 1894 e il 1906, metteva in risalto l’aspetto forse meno approfondito del pittore torinese: il Balla “prefuturista”, quello degli anni giovanili, delle ricerche in chiave divisionista.
La famiglia Carelli è entrato a far parte del museo di Capodimonte nel luglio 1987 per donazione post mortem delle sorelle Libera, Luce e Vera Carelli.
L’opera, pur non essendo datata, fu certamente eseguita a Roma dopo il ritorno dell’artista da Parigi (1901) e documenta la copiosa produzione ritrattistica alla quale Giacomo Balla si dedicò nel primo decennio del XX secolo, subito prima di aderire al movimento futurista.
E’ raffigurata in primo piano Eleuteria Mileti, con il marito professor Costantino Carelli e la figlioletta primogenita Libera che poi diverrà una poetessa.
La commissione affidata a Balla riguardava un ritratto della sola signora ma fu il pittore a coinvolgere l’intero gruppo familiare, a dimostrazione delle ricerche che stava conducendo per rinnovare un genere, qual è la ritrattistica, per solito estremamente obbligante rispetto alla libertà dell’invenzione.
Spesso, infatti, nella produzione di Balla s’è radicalmente separata la fase “ritrattistica” da quella “futurista”, quasi che da una pittura attenta prevalentemente alla rappresentazione realistica, dopo il 1910, di colpo si orientasse verso una “visività” annoverabile tra le manifestazioni d’arte astratta.
Tale dicotomia risulta poco attendibile se si considera il vivace temperamento e la vocazione verso una creatività mutevole e libera da formule.
La scelta di presentare la protagonista in primo piano, non in posizione frontale ma come se stesse ruotando sull’asse rispetto alle altre due figure un po’ arretrate, è indicativa di una moderna impostazione del ritratto non più concepito con intento naturalistico o con taglio fotografico tardo-ottocentesco, ma per rendere la dinamicità fisionomica e caratteriale di un soggetto in rapporto con l’ambiente circostante.
Non hanno alcun risalto, infatti, le connotazioni ambientali della stanza come pure la resa dei lineamenti fisionomici, mancandone un’adeguata analisi descrittiva.
La posizione della signora, di tre quarti rispetto alle altre due figure un po’ arretrate, determina una vistosa asimmetria allusiva ad una spazialità dinamica nella quale i tre personaggi sono collocati, e definiti con l’impiego di una tecnica divisionista moderna e libera, senza regole scientifiche, solo come mezzo per approfondire lo studio dei colori, della luce e del movimento a seconda dei soggetti da rappresentare.
Nell’Autoritratto (1902) il mezzo busto è collocato sull’estrema destra tanto da risultare incompleto da quel lato, concedendo molto spazio al fondale dove i singoli elementi paesistici ed ambientali si fondono entro fasce orizzontali di colore-luce.
Il linguaggio divisionista è qui molto libero: le pennellate si arricchiscono di graffi punti e linee molto evidenti.
Anche Nello specchio, eseguito certamente al ritorno da Parigi, i personaggi ripresi con grande libertà inventiva sono disposti da sinistra a destra: si vedono la signora Prini, lo scultore Giovanni Prini – nel cui studio è posta la scena – Giacomo Balla con la tavolozza e il poeta Max Vanzi.
Il quadro, documento delle riunioni del gruppo di artisti e letterati romani interessati a novità artistiche al punto che, come ricorda Elica Balla, Giacomo Puccini ne lesse una grande affinità con l’ambiente della Boheme, fu realizzato in questa occasione con una particolare tecnica divisionista attraverso pennellate filamentose onde rappresentare l’effetto della luce in un interno.
Come si legge in alcuni scritti di Elica Balla dedicati al padre, gli furono rifiutati agli inizi del secolo due ritratti perché non ritenuti fedeli ai modelli, tanto che dovette ritoccarli sulla scorta di fotografie, il che lo contrariò al punto da rifiutare di firmarli.
Uno dei due, il Ritratto del pittore Ettore Roesler Frantz, nel 1903 esposto alla Biennale di Venezia, fu realizzato con ariose pennellate giustapposte e con vigorosa efficacia luministica, e venne giudicato su un periodico romano del tempo:
“…quel pasticcio divisionista … rende indecifrabili … i tratti della fisionomia”.
Questa volta il ritratto del famoso acquarellista fu ambientato a Villa d’Este, come era già accaduto ne La fidanzata al Pincio del 1902, dove il pittore aveva già affrontato il problema della “pittura all’aperto” rendendo la composizione con brevi colpi di pennello nei colori locali: il verde del prato, il violetto dell’abito, il rosso della terra, ottenendo in tal modo una composizione organica pur nell’articolata molteplicità dei segni.
Ritratto all’aperto, caratterizzato da un’analisi particolareggiata dei valori cromoluministici, è uno dei più significativi dipinti di questo periodo: anche in questo caso la commissione prevedeva un ritratto al chiuso ma l’artista preferì collocare il soggetto sulla terrazza di una casa a piazza di Spagna.
La slanciata silhouette di Leonilde Imperatori, in posizione decentrata e per di più rivolta verso sinistra, suggerisce un movimento verso l’esterno raccordando il primo piano, caratterizzato da un moderato effetto di luce, con la piena luminosità del fondo.
La pazza, (1905) raffigura Matilde Garbini, una vicina di casa di Balla ammalata di mente.
L’artista, interessato a studiare il comportamento di individui squilibrati, tema questo delle malattie della psiche trattato in quegli anni anche da Telemaco Signorini, rappresenta attraverso la gestualità e il contrasto pittorico l’intensità psicologica del personaggio.
Anche in questo caso l’alternativa tra l’attenuata illuminazione del primo piano e la piena luce del paesaggio nel fondo, accentuano la drammaticità della figura ritratta sottolineata da una profonda mimica.
La famiglia Stiavelli (1905) presenta, diversamente dal ritratto Carelli, una composizione con una notevole distanza tra i personaggi principali così da concedere una cospicua attenzione alla signora, posta sulla sinistra, intenta a dipingere assistita dal marito e dalle bambine.
Ne La lettura le figure occupano quasi per intero l’inquadratura e la luce, ancora una volta protagonista della composizione, illumina dall’alto verso il basso e da sinistra verso destra la scena, soffermandosi sulla camicetta della signora, sulle pagine del libro e sulle calze della bimba.
In Figura ad Anzio la situazione compositiva è analoga a quella del Ritratto all’aperto ma la balaustra traforata consente un più articolato rapporto tra primo piano e fondo.
E’ sembrato opportuno a questo punto un confronto critico con alcune opere di artisti che anticiparono o accompagnarono Balla in analoghe ricerche stilistiche quali Il Prato di Giuseppe Pellizza da Volpedo, caratterizzato dall’impiego della tecnica divisionista a piccoli tocchi, diversa dal pointillisme rigorosamente ottico dei francesi, e Lo sposalizio di Gaetano Previati, realizzato con pennellate piuttosto larghe e sfaldate.
Eventuali spunti a Balla saranno stati proposti da alcuni testi che Previati dedicò allo studio dell’effetto della luce e dei colori.
I dipinti del primo decennio del secolo attestano quindi la maturazione delle ricerche cromo-luministiche del pittore che sembra solo attendere il primo manifesto del 1909 per riconoscersi già “dentro” il movimento futurista.
Il trattamento del tessuto dell’abito della signora Carelli potrebbe richiamare in qualche modo lo studio analitico sulle vibrazioni luminose confluite nella Lampada ad arco, ispirata dalla scomposizione prismatica della luce, considerata una delle prime realizzazioni della poetica futurista, per la quale Giacomo Balla scrisse in una lettera:
“… Il quadro della lampada è stato da me dipinto durante il periodo divisionista … Quadro originale perché ho cercato di rappresentare la luce separando i colori che la compongono …”.
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Il testo di Mariaserena Mormone è inserito nell’iniziativa “L’Italia chiamò – Capodimonte oggi racconta”
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