L’Italia chiamò – Capodimonte oggi racconta… Autoritratto di Francesco Paolo Michetti
Per la rubrica L’Italia chiamò – Capodimonte oggi racconta, Luisa Martorelli, Funzionario storico dell’arte del Mibact fino al 2017, specialista dell’Ottocento e curatore di mostre d’interesse nazionale e internazionale, ci accompagna nella sezione dell’Ottocento privato del Museo e Real Bosco di Capodimonte, alla scoperta dell’Autoritratto di Francesco Paolo Michetti, opera consapevole dell’artista, la cui espressione del volto è indice di un profondo mutamento nella sua maniera di pensare l’arte.
Nella sezione denominata “Ottocento privato” del museo di Capodimonte, incontriamo il bellissimo Autoritratto in età matura di Francesco Paolo Michetti, ancora con la sua originale cornice dorata, realizzata sotto la diretta supervisione del pittore, da considerare certamente tra i capolavori dell’artista conservati a Napoli.
L’opera fa parte di un nucleo di settantasette opere del tardo Ottocento, donate nel 1957 dal collezionista cav. Alfonso Marino, proprio in concomitanza con la riapertura del museo, rinnovato dopo una complessa revisione degli antichi spazi della reggia, secondo un modello museografico assolutamente d’avanguardia, per la cura di Bruno Molajoli ed Ezio De Felice, che ne furono promotori ed artefici.
Per l’esposizione permanente della donazione Marino, nel 1957, furono assegnate due sale, ubicate nell’angolo sud del piano nobile dell’antico palazzo regio, secondo quel percorso della Galleria dell’Ottocento (B. Molajoli, Notizie su Capodimonte, Napoli 1957, pp. 80-96) che si svolgeva in sequenza cronologica con opere di pittura e scultura, mostrando gli aspetti del collezionismo dai Borbone ai Savoia, fino alle ultime esperienze dell’arte moderna tra Otto e Novecento.
Davanti al dipinto di Michetti siamo subito colpiti dalla potenza indagatrice dei suoi occhi scuri e profondi e dalla insistenza di uno sguardo accigliato e apparentemente brusco, nel fissare l’osservatore in maniera interlocutoria.
Si mostra a noi in posizione frontale e la sua figura sembra compressa in uno spazio appena sufficiente a raffigurarlo a mezzo busto, a grandezza naturale.
E’ vestito con una camicia dai bordi sfrangiati e indossa sul capo un cappello di paglia a larga falda che gli conferisce un’aria quasi solenne, tanto da farlo assomigliare ad un santo apostolo con l’aureola.
Al confronto dei due celebri Autoritratti giovanili dipinti a pastello, del 1877, ubicati presso le Gallerie d’Italia Collezione di Intesa San Paolo Napoli e nel Museo di San Martino,
l’espressione del suo viso è profondamente mutata, come pure si è evoluta la sua maniera di pensare l’arte.
Sono passati dieci anni da quelle esecuzioni.
I ritratti giovanili contrassegnano l’estro giovanile, la potenza creativa scaturita dalla lezione di un grande maestro tenuto a modello, Mariano Fortuny, da cui era riuscito a comprendere il modo di stendere il colore plasmato con la biacca, arrivando alla sublimazione di quell’“impero dei bianchi” (Netti) anche nella manipolazione della difficile tecnica a pastello, che non lascia adito a correzioni sul campo.
Rispetto ai dipinti che lo ritraggono ventenne, nel volto dell’Autoritratto più maturo l’artista conserva ancora gli zigomi alti e la pelle soda di una giovinezza migrata nell’espressione dell’uomo adulto, ma ha smussato i tratti impertinenti del ragazzo con i capelli scomposti e la barba rada, dallo sguardo spavaldo mentre scruta chi gli sta di fronte.
Ora ha un’espressione più consapevole.
Erroneamente è stata assegnata una datazione tra il 1890 e il 1894 (M. Mormone in Ottocento a Capodimonte, Napoli 2012, p. 440), mentre il confronto diretto con un altro famoso Autoritratto, di collezione privata,
datato 1888, realizzato in occasione della nascita del primogenito, Giorgio Aurelio Carmelo, ne rettifica la datazione, avanzata, tra l’altro, da chi scrive già nel 2001 (L. Martorelli in Da Canova a Modigliani, Il volto dell’Ottocento, Padova 2011, p. 261-262).
La data dell’Autoritratto di Capodimonte al 1888 trova conferma anche nella schedatura dell’opera completa, pubblicata nel Catalogo generale di Francesco Paolo Michetti, edito nel 2018 (p. 224 n. 396).
Tornando a noi, l’Autoritratto è un esempio di ricerca naturalistica del Michetti maturo.
Intorno a quella data egli accantona la seducente poetica delle pastorelle d’Abruzzo, compiacenti temi diffusi sul mercato e richiesti dalla vasta clientela internazionale della maison Goupil per intraprendere, intorno alla fine degli anni Ottanta, nuove soluzioni pittoriche.
Senza celare l’uso del mezzo fotografico, per il quale fu un vero pioniere della sperimentazione (M. Miraglia, Francesco Paolo Michetti fotografo, Torino 1980), nel nostro dipinto prevale un gioco sottile della luce e dei chiaroscuri che rimanda ad una ricerca naturalistica di matrice velasqueziana e caravaggesca, con tinte livide e una pennellata densa, corposa, ricca di contrasti cromatici, come ci appare nel buio cavo dell’interno prescelto dal pittore come scena di posa.
I temi dei ritratti sono da sempre i suoi preferiti e con l’utilizzo o meno dello strumento fotografico, caratterizzano una scelta prevalente fin dagli esordi, cioè dagli anni Settanta in avanti.
In una maniera del tutto personale, quando studia soggetti di famiglia, personaggi a lui cari e amici abruzzesi, si concentra verso una profondità di rappresentazione che investe la ricerca antropologica nella sua estensione maggiore, di significativa valenza realistica, tramutando l’interpretazione “del vero” in un fenomeno artistico originalissimo (cfr. Zi Luisa, Donna Annunziata, Pellegrine di Casalbordino, Modella di Pescasseroli, Ritratto di Costantino Barbella).
Sono questi gli anni, d’altra parte, della creazione di una singolare esperienza umana e professionale, il cenacolo artistico michettiano, nel cosiddetto “conventino” di Francavilla al Mare.
Il suo studio e la sua abitazione sono frequentati, dal 1885 in poi, con una certa assiduità, da un gruppo di amici, artisti, letterati, musicisti e scultori in una straordinaria sintonia di intenti tra di loro, intrecciando motivi colti e popolari della cultura abruzzese.
Michetti è al centro di tale singolare iniziativa che intende ristabilire un’unione armonica tra le le arti.
Vi partecipano, solidali con lui, Gabriele D’Annunzio, Costantino Barbella, Francesco Paolo Tosti e Paolo De Cecco, che danno fondo a creazioni originalissime per la combinazione di un’estro condiviso.
Sulla rivista “Cronaca bizantina”, il critico d’arte Giustino Ferri raccontava del Michetti:
“(…) soltanto da un artista innamorato dell’avvenire dell’arte, il quale fantasticava un giorno di una perfetta compenetrazione di tutte le forme estetiche, tali da dare nel tempo la stessa visione dell’immagine dipinta o descritta e la sua traduzione melodica, sicchè fosse possibile di riunire tutti i godimenti, tutti gli effetti artistici in un solo tempio dell’arte. L’artista giovane e forte che pensa a quest’arte delle arti non è un visionario, un satiriaco impossente che sogna l’impossibile perché il
possibile gli sfugge: è F.P. Michetti”
(G. Ferri “ Cronaca Bizantina”, VI, 1886, p. 6-7)
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Il testo di Luisa Martorelli è inserito nell’iniziativa “L’Italia chiamò – Capodimonte oggi racconta”
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