Andrea Bolognino racconta la mostra Cecità, accecamento, oltraggio
La mostra Cecità, accecamento, oltraggio (fino al 18 aprile 2022), settimo appuntamento con il ciclo di mostre-focus Incontri Sensibili, presenta il progetto espositivo di Andrea Bolognino, i cui disegni sono posti in dialogo con uno dei capolavori più noti della collezione, la Parabola dei ciechi (1568) di Pieter Brueghel il Vecchio.
Bolognino ha riunito tre temi sotto una più ampia riflessione sul rapporto tra arte e scienza: la simulazione della rappresentazione scientifica, con l’inserimento di schemi e grafici, la simulazione del disturbo della visione, attraverso un disegno abbreviato e oscuro, l’ipervisione, effetto degli sviluppi tecnologici contemporanei.
In mostra, realizzata in collaborazione con l’associazione Amici di Capodimonte ets, sono esposti 24 disegni (tra cui un trittico composto da tre fogli) in cui l’artista concilia disegno oggettivo e soggettivo per evidenziare la relazione tra rappresentazione artistica e conoscenze scientifiche.
Il racconto di Andrea Bolognino, del processo creativo che ha guidato l’artista dalla visione all’ispirazione, alla realizzazione è tratto dal catalogo della mostra edito da arte’m che sarà presentato giovedì 7 aprile 2022 alle ore 12.00 nella sala Burri del Museo e Real Bosco di Capodimonte alla presenza dello stesso artista, del direttore Sylvain Bellenger e della presidente della Fondazione Donnaregina per le arti contemporanee-museo Madre Angela Tecce.
Io sono come mi vedo, un campo intersoggettivo, non malgrado il mio corpo e la mia storia, ma perché io sono questo corpo e questa situazione storica per mezzo di essi.
Merleau-Ponty (Phénomenologie de la perception, Gallimard, Paris 1945, p.515)
Nella Galleria Farnese mi trovo davanti a due capolavori di Pieter Bruegel il Vecchio.
Entrando non si può esitare un attimo dall’avvicinarsi: da una parte Il Misantropo, al suo fianco la Parabola dei ciechi. Su queste opere i miei occhi si sono posati decine e decine di volte.
Quella mattina ero particolarmente sensibile alle gradazioni di verde e giallo ocra emanate dalla Parabola, mi sono ritrovato a trenta centimetri dalla tela senza nemmeno rendermene conto.
Con la complicità del tempo, la materia pittorica assume qui la consistenza di velature liquide o campiture pastello. L’atmosfera del dipinto è immersa in una condizione che sta in mezzo tra la necessità naturalistica e la sintesi manierista, tra la maestria coloristica e l’incisività del tratto o del segno.
Le figure si moltiplicano, frammentando il corpo e dividendolo, per restituire una sensazione di movimento, di quel preciso e tragico movimento che è la caduta. A occhi chiusi.
Mi si impone allo sguardo pur restando, in tutti i suoi aspetti, in una zona di indeterminazione. Dice qualcosa e allo stesso tempo la nega, pone delle domande anziché dare delle risposte.
Evito per giorni di affrontare il foglio bianco.
Memorizzo, salvo con nome migliaia di dati, minuscoli pacchetti di colore compressi a 1/16: a volte mi bruciano gli occhi, altre perdo la concezione del tempo.
Non è quasi mai piacevole iniziare a disegnare.
Come davanti a un blocco di marmo si lavora per sottrazione: il foglio bianco è già saturo. È il vuoto di tutte le configurazioni possibili di forma e colore da fendere con il segno.
A guidarmi vi è la mano, appendice dell’occhio, che pensa agendo.
Le sue estremità mutano insieme al mio stato d’animo, a volte è una matita, altre un carboncino o un pastello.
Nel vuoto è impossibile cominciare, apro Spotify.
La musica riunisce le fantasticherie ai gesti e quelle stesse estremità, accompagnate dai ritmi e dai rumori, mutano ancora, facendosi puntina da giradischi, oscilloscopio, sismografo.
Faccia a faccia con il vuoto provo ad assecondare la dinamica dei suoni che riempiono la stanza.
Alle volte comincio così.
Altre volte un’offuscata percezione di colore può essere il preludio a un’intuizione felice, alla scoperta di un sentiero facilmente percorribile. Mi si presenta come sapore o tessitura, esondando dal regime della visione.
Il colore esplode in inconfondibili sensazioni tattili e olfattive, impulsi elettrici che per un istante pervadono la mia immaginazione: la ruvidità del verde, l’asprezza o la liscezza del giallo, la profondità fangosa del blu, il calore bruciante del rosso. Il movimento del polso o del braccio ne delimitano i volumi. Se lavorassi il gesso o il marmo sarebbe soltanto più faticoso, le sensazioni di colore, il mio approccio alla materia, il risultato finale non cambierebbero affatto.
Questo è un rituale che puntualmente disattendo.
Dall’archivio di immagini fino ai colori, tutti gli elementi, i gesti e i passi sono intercambiabili. Un’eterna modulazione che si rigenera proprio dalla finitudine delle sue variabili.
Alle volte però può anche ristagnare e bloccarsi.
Quando incontro questi ostacoli la mano non risponde più a nessun segnale, non riconosce il campo di forze nel quale stava agendo, che stava costruendo. E mi si rovescia per caso un barattolo di cera fluida sulla superficie del foglio.
Ne accolgo le conseguenze, integro il caso alla pianificazione.
Altre volte procedo razionalmente nella direzione contraria a quella percorsa sino al punto di ristagno.
Cospargo di arancio tutta la parte destra del foglio.
Improvvisamente riesco a ripartire.
Alterno momenti di modellazione delle forme ad occhi aperti a momenti di completa cecità.
Dopo lunghe sessioni di contemplazione e di quasi impercettibili modifiche, il disegno mi sembra compiuto.
Chiedo a me stesso di incorporare uno sguardo, forse lo chiedo in particolare alla mia mano, di andare avanti nella visualizzazione di un suono o nella costruzione plastica di un rumore e poi indietro verso quell’unico oggetto, che per l’onda d’urto è caduto e si è distrutto andando in frantumi nell’aria, e poi ancora avanti a costruire, fin nei più piccoli interstizi, una massa che possa respirare, un corpo che danza e poi indietro, di nuovo, a seguire la linea di piccoli punti luminosi che si sposta nel buio dell’immaginazione.
Provo a farmi strada, disegnando, tra l’abisso e l’oltraggio di un presente condannato all’ipervisione.
Andrea Bolognino
Visita guidata con l’artista venerdì 15 aprile ore 12.00 inclusa nel prezzo del biglietto del museo, prenotazione inviando una mail all’indirizzo mu-cap.accoglienza.capodimonte@beniculturali.it
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