L’Italia chiamò – Capodimonte oggi racconta… Il bacio della nonna di Gioacchino Toma
Al Museo e Real Bosco di Capodimonte è custodita la delicata tela Il bacio della nonna di Gioacchino Toma, uno dei maggiori pittori dell’Ottocento italiano.
Per la rubrica “L’Italia chiamò – Capodimonte oggi racconta…”, Alessia Attanasio, borsista dell’Associazione Amici di Capodimonte onlus ci fa conoscere la storia dell’intimo dipinto della produzione matura dell’artista.
Molto è stato scritto sull’infanzia di Gioacchino Toma (Galatina 1836 – Napoli 1891).
Artista delicato e dall’animo sensibile, nato a Galatina, in provincia di Lecce, dove, rimasto orfano in tenera età, fu accolto nell’Ospizio dei Poveri di Giovinazzo, nel Barese. Educato all’arte della tessitura, apprese qui i primi rudimenti del disegno.
Fuggito a Napoli, divenne garzone presso un ornamentista locale, continuando a disegnare e a dipingere da autodidatta, maturando il suo credo artistico.
Studiare la biografia di Gioacchino Toma è elemento imprescindibile per poter leggere e comprendere il suo linguaggio artistico, così personale e unico, non ispirato a nessuna scuola in particolare, se non alla sua delicata sensibilità e a sentimenti di soffusa malinconia.
A partire dagli anni Ottanta, Toma iniziò un graduale rinnovamento della sua pittura e dei suoi soggetti. Non fu tanto lo stile a mutare, quanto più la scelta di dedicarsi allo studio di ritratti e di paesaggi.
L’artista aveva già in passato dedicato un periodo della sua produzione artistica alla ritrattistica.
Quando nel 1857 fu arrestato per sospetto d’attivismo politico dalla polizia borbonica con l’accusa di cospirazione e confinato per diciotto mesi a Piedimonte d’Alife, Toma, grazie anche alle numerose richieste, dipinse una serie di ritratti di personalità del luogo, caratterizzate da uno stile austero e raffinato.
L’Autoritratto che Toma realizza intorno 1880 mostra invece una nuova maturità e una maggiore sensibilità.
L’artista si ritrae a mezzo busto, lo sguardo fermo e penetrante capace di invadere lo spazio dell’osservatore infondendo una ritrovata serenità. La materia pittorica è trattata con soffusi accenti di vivacità che conferiscono morbidezza al tono cromatico.
Lo stesso fondo scuro accoglie il delicato Ritratto della moglie, realizzato nello stesso periodo. La signora Diletta, che in passato aveva posato come modella dando il volto alla più nota Luisa Sanfelice in carcere, è anch’essa raffigurata a mezzo busto e trattata con la stessa morbidezza cromatica dell’Autoritratto.
La sottile malinconia nel suo sguardo rivela l’attento studio psicologico da parte dell’artista, nonché marito.
Luisa Sanfelice è una donna intenta a confezionare, nel silenzio della sua cella, il corredo per un bimbo che probabilmente non nascerà, mentre un’insolita luce ne proietta l’ombra cupa e angosciosa sulle mura corrose.
La porta inesorabilmente chiusa sulla destra diviene una voragine oscura.
Ogni elemento, dal cuscino al cesto sul tavolo, è visto in funzione dello stato d’animo del personaggio, mentre i delicati ed essenziali accordi tonali rendono la scena suggestiva ed intimamente poetica.
L’opera ricorda un noto episodio della Rivoluzione Napoletana del 1799 quando, al ritorno dei Borbone, Luisa Sanfelice fu condannata a morte come rivoluzionaria per aver cercato di sventare un tentativo di restaurazione monarchica, ma l’esecuzione fu rimandata per una sua presunta maternità.
Il dipinto, di cui esistono due versioni, è ben presto divenuto uno dei più celebrati dell’Ottocento italiano e Luisa, simbolo della resistenza contro l’assolutismo, fu raccontata, tra gli altri, anche da Alexandre Dumas in uno dei suoi omaggi scritti alla città di Napoli, dove lo scrittore francese, arrivato al seguito di Garibaldi, trascorse più di tre anni.
Come paesaggista, Toma cercò inizialmente di avvicinarsi alla pittura macchiaiola, tanto in voga in quegli anni e ammirata dagli artisti del tempo. Tuttavia, anche in questo caso egli fu in grado di maturare un linguaggio personale caratterizzato da un naturalismo dai toni sobri, e da una visione intimista accompagnata da effetti di luce tenue e smorzata.
Non sono paesaggi ripresi dal vero, bensì studiati dal vero. Come già la pittura di Giacinto Gigante, che non è più solo paesaggio e osservazione dal vero, ma diviene invece frutto di una sua intima e personale rielaborazione sentimentale, anche in Toma il paesaggio è spogliato del suo valore ambientale e reale per assumere un valore soggettivo.
Sotto il Vesuvio di mattina, realizzato nel 1882, raffigura il Vesuvio dal pennacchio fumante illuminato in lontananza dalla limpida luce del mattino.
Le nuvole all’orizzonte dialogano con il vapore del treno sulla sinistra, colto mentre percorre i binari sterrati in un andamento lento.
Il colore è integro, steso omogeneamente sulla tela e la composizione è chiara e ben definita, attenta alla luce e al modo in cui essa illumina i dettagli della campagna vesuviana.
Toma amava studiare gli effetti che la luce produce sugli elementi del paesaggio durante i diversi momenti del giorno.
Sotto il Vesuvio di sera ci mostra lo stesso soggetto dipinto quattro anni prima, e qui ripreso alla luce crepuscolare.
Si tratta di un tentativo, prima mai compiuto nella pittura napoletana, di studio e riflessione su come cambiano le impressioni del paesaggio durante le diverse fasi del giorno.
Grandi maestri furono senz’altro gli impressionisti francesi, ma a Toma va riconosciuto il merito di aver portato nella sua terra d’adozione studi e intuizioni moderne.
Il bacio della nonna si inserisce negli ultimi anni della produzione artistica di Gioacchino Toma.
In questo periodo l’artista si abbandona ad una pittura di getto e violenta, in cui la forma disegnata viene semplificata all’essenziale e ricondotta alla sua originale struttura geometrica.
È la fase più consapevole della sua produzione pittorica, che l’artista dedica alla pittura d’interni, continuando a studiare attentamente gli effetti prodotti dalla luce sul paesaggio.
L’intima tela è ambientata in un soggiorno arredato semplicemente, sulle cui pareti si distinguono due dipinti di ampie dimensioni, mentre, sulla sinistra, si intuisce la presenza di un tavolo su cui trova posto un figurino, gli abiti resi con singole e brevi pennellate, e un vaso fatto di tocchi tanto veloci e frettolosi da lasciarne intravedere la tela bianca, priva di preparazione.
In primo piano tre figure femminili, ognuna immersa in silenziosi pensieri, per sempre bloccate come in un fermo immagine.
Sulla sinistra è seduta la nonna, i raccolti capelli grigi che tendono quasi a confondersi con l’abito, la quale accoglie con dolcezza il bacio della nipote, una giovane fanciulla dai capelli dorati e il vestito turchese.
L’azione si concentra interamente sulla sinistra della tela, richiamando lo sguardo dell’osservatore; contrasta la scena il rigido immobilismo della donna sulla destra, seduta con il suo manicotto e la sua cuffietta da camera sul divano cremisi.
Una seconda poltrona, vuota se non per l’indumento turchese appartenuto probabilmente alla bambina, bilancia sulla destra l’equilibrio spaziale e compositivo del dipinto.
Un’opera delicata, soffusa e dal tratto tremolante, eppure incisivo, del pennello anziano, ma consapevole, di un artista che ha sempre umilmente difeso i suoi modi stilistici e tonali.
I temi tragici che ne caratterizzarono la produzione matura andrebbero ricondotti non solo alle sue vicende personali, che resero, tra gli altri, il tema dell’infanzia abbandonata uno dei soggetti a lui più cari, ma a quella moda propria della seconda metà dell’Ottocento caratterizzata da una tendenza per il dolorismo e per il pietismo tradotti in arte.
Gioacchino Toma fu un instancabile romantico che non si è mai piegato alle correnti artistiche del suo tempo o, che comunque, le ha osservate con consapevolezza, rimanendo sempre saldamente ancorato ai propri valori pittorici e umani.
Grazie al dono di Gustavo Toma, Il bacio della nonna entrò a far parte, insieme ad altre dodici opere realizzate dal padre Gioacchino Toma, nelle collezioni del Museo di Capodimonte nel 1960.
Le tredici opere donate dal figlio Gustavo andarono ad arricchire il primo nucleo composto da altri quattro dipinti realizzati dal padre, a loro volta donati al Museo di Capodimonte dall’imprenditore Alfonso Marino nel 1957.
Completa la preziosa raccolta delle opere di Gioacchino Toma il più recente acquisto avvento nel 1970 da parte del Ministero della Pubblica Istruzione della Luigia Sanfelice in carcere destinato alle collezioni di Capodimonte.
Il Museo e Real Bosco di Capodimonte, in omaggio alla generosità della donazione Toma, proporrà il prossimo Natale 2020 una mostra-focus dedicata a Il bacio della nonna e all’arte di Gioacchino Toma, uno dei maggiori pittori dell’Ottocento italiano.
L’esposizione si inserirà nel ciclo di mostre-focus L’Opera si racconta con cui il Museo e Real Bosco di Capodimonte dà voce a dipinti, sculture e oggetti d’arte della collezione permanente presentate al pubblico in relazione con altre opere o documenti in grado di mostrarne il contesto storico e culturale.
GIOACCHINO TOMA (GALATINA 1836 – NAPOLI 1891)
Il bacio della nonna
1888-1890
Olio su tela
Donazione Gustavo Toma (1960), OA 7720
Il testo di Alessia Attanasio è inserito nell’iniziativa “L’Italia chiamò – Capodimonte oggi racconta”.
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