Gino De Dominicis: Intervista a Lia Rumma
Nel mondo esistono e sono sempre esistite solo opere bidimensionali o tridimensionali; e alcune opere invisibili di Gino De Dominicis
Gino De Dominicis
Nato il 1° aprile 1945, ad Ancona, Gino De Dominicis è tra i grandi artisti italiani del secondo Novecento, autore della tavola Senza titolo del 1996-1997, conservata al Museo e Real Bosco di Capodimonte.
Nel suo percorso, l’artista ha affrontato costantemente i temi della morte e dell’eternità, della permanenza e della assenza, una visione binaria della realtà risolta nell’opera d’arte.
Risale al 1986 la prima mostra personale di De Domincis al Museo di Capodimonte. All’interno della Sala dei Camuccini realizzò un ambiente saturo di tracce di un discorso sul superamento della condizione mortale del corpo.
La dicotomia tra mortale e immortale, di cui l’opera è la sintesi, è nuovamente centrale in Calamita cosmica (1988), imponente installazione presentata nel 1996 nel cortile della Reggia di Capodimonte.
Nel giorno dell’anniversario della nascita di Gino De Dominicis ripercorriamo la sua ricerca con una intervista a cura di Luciana Berti alla gallerista Lia Rumma, legata all’artista da un rapporto di collaborazione e di amicizia.
D: In che occasione ha conosciuto Gino De Dominicis e come si è sviluppata la vostra collaborazione?
R: Nel tentativo di rievocare Gino De Dominicis, non possiamo esorcizzarlo, non lo possiamo trattenere, riportarlo tra noi con una parola magica, al contrario è lui che ci trattiene da tanto tempo nella sua magia” (A. Kiefer in Raccolta di scritti sull’opera e l’artista, a cura di G. Guercio, Allemandi 2014).
Per il nostro primo appuntamento di lavoro ci incontrammo a Roma, al bar di Plinio De Martiis a… mezzanotte! Non ricordo bene né il giorno né l’anno.
Gino dormiva di giorno e.… vegliava di notte!!!! Il Bar di Plinio era uno dei punti cruciali per la vita artistica della cosiddetta “dolce vita romana”, frequentato da artisti, pittori, scultori, poeti, scrittori che venivano da tutto il mondo… a notte fonda.
De Chirico, Moravia, Guttuso, Schifano, De Dominicis, Turcato, Twombly, Pascali, Leoncillo, Dorazio, Kounellis, Duchamp, Ungaretti etc. erano di casa da Plinio, come tutti noi, giovani collezionisti affamati di Arte. E si beveva e si parlava… e si beveva e si parlava…
Naturalmente, frequentando Gino, andarono in fumo tutti i miei propositi di una vita ordinata e programmata! “Gino… il mattino ha l’oro in bocca!”, e giù una risata scrosciante, pastosa, infinita di cui ne sento ancora l’eco! Basti pensare che in previsione della mostra nella mia galleria di Napoli, si presentò alle sei del mattino. Aveva viaggiato di notte su un camion su cui erano state caricate una serie di tele bianche. Gino aveva deciso di dipingerle… a casa mia, predisponendo anche gli spazi in cui io dovevo vivere e lui lavorare. Per dormire, naturalmente, lui albergava all’insostituibile Hotel Vesuvio.
Amava Napoli!!!
Contrattammo il nostro sodalizio con un patto di ferro: una mostra al Museo di Capodimonte. Il Museo e Real Bosco di Capodimonte era il Museo più amato da Gino De Dominicis!
La meravigliosa mostra nel salone degli Arazzi (voluta da Nicola Spinosa) fu la condizione assoluta di un nostro lavoro insieme!
L’Artista voleva soggiornare tra i Grandi, i suoi veri, immortali, compagni di viaggio: Caravaggio, Tiziano, Masaccio etc.
Più che una collaborazione, il nostro, fu un rapporto intenso, di stima e affetto, di dialogo e di progetti con la promessa di un viaggio: insieme, o meglio, l’unico che forse Gino avrebbe voluto fare: quello verso le magiche, immortali terre di Gilgamesh.
D: Qual è l’opera che secondo lei rappresenta o sintetizza meglio la ricerca e, in generale, Gino De Dominicis come artista e autore?
R: Se avessimo fatto questa domanda a Gino De Dominicis, cosa avrebbe risposto?
Penso che le opere di De Dominicis siano tanti piccoli universi che fanno parte di un solo Universo. C’è comunque un’opera particolarmente emblematica e inquietante che a tutt’oggi mi fa lambiccare il cervello: In principio era l’immagine, del 1981/82.
Ma se l’immagine è la rappresentazione di qualcos’altro di cui, ovviamente, è immagine, come può essere “in principio”?
Forse, De Dominicis voleva dire che “la pittura, la scultura, il disegno non sono forme d’espressioni tradizionali, ma originarie”! (Giulio Giorello)
“Le nostre opere d’arte, la nostra memoria salvano il tempo trasfigurandolo in immagini e significati, lo salvano negandolo, perché il tempo è la sua negazione” (A. Emo, 27 ottobre 1973).
D: Calamita cosmica (1988) è l’opera presentata da Gino De Dominicis nel cortile della Reggia di Capodimonte, nel 1996. Lo scheletro, lungo 24 metri, si configura come un imponente memento mori, opposto alla verticalità dell’asta dorata, medium tra il cosmo e la natura umana, tra l’eterno e l’effimero. Può riferirci qualche ricordo personale di quella eccezionale operazione? Come fu accolta l’opera dal pubblico e dalla critica?
R: L’opera fu prodotta con il mio sostegno e quello di Anna D’Ascanio tra il 1994/95. Fu esposta nel cortile del prestigioso Museo il 20 dicembre del ’96, in occasione della inaugurazione di una nuova sezione di Arte Contemporanea e la presentazione di una selezione delle raccolte dello Stedelijk Museum di Amsterdam.
Gino si presentò (naturalmente!) a tarda sera per scegliere la sala dove collocare il suo lavoro.
Rifiutò subito di collocare la sua opera tra quelle degli altri artisti contemporanei: il suo era un lavoro solitario e quindi non avrebbe mai accettato di entrare in un rapporto, sia pure dialettico, con quello degli altri artisti. Scelse di collocarla all’esterno, nel cortile.
Un’opera così rappresentativa dell’umana esistenza non poteva che essere collocata all’ingresso del Museo.
Naturalmente, l’opera e la sua collocazione suscitarono immensa curiosità, imbarazzo, perplessità “ma anche una capacità di penetrazione delle coscienze più attente e sensibili non minore di quella procurata dall’impatto visivo della Crocifissione del Masaccio o di Paolo Terzo tra i nipoti di Tiziano” (N. Spinosa).
D: Lavori come Madonna che ride (1972) e Specchio che tutto riflette tranne gli esseri viventi (1969) – quest’ultimo esposto nella sua Galleria di Napoli nel 1988 – sono stati distrutti.
Che valore attribuiva l’artista alla distruzione dell’opera? Come, in qualità di gallerista, si poneva nei confronti di questa scelta?
R: De Dominicis “è stato il principale difensore e custode della sua opera e ha cercato di sottrarla al rischio di omologazione da parte dei media e del mondo dell’Arte (G. Guercio). Manipolava, cancellava, ridipingeva, distruggeva finanche opere già vendute… voleva sottrarle alla stabilità dello sguardo, affinché fosse solo la memoria a lasciare una traccia di esse e di quell’attimo di immortalità che aveva segnato tutto il suo destino!
“Per esistere veramente dovremmo fermarci nel tempo” ( G. De Dominicis)