L’Italia chiamò – Capodimonte oggi racconta… la collezione Astarita, tra vicende critiche e collezionistiche sulla fortuna di Giacinto Gigante e la Scuola di Posillipo
Nell’ambito dell’iniziativa online L’Italia chiamò – Capodimonte oggi racconta… che dal 9 marzo 2020 ci accompagna alla scoperta delle collezioni del Museo e Real Bosco di Capodimonte per offrire al pubblico il sollievo dell’arte durante questo ‘tempo sospeso’ di chiusura dei musei, Federica De Rosa, docente di Storia dell’arte all’Accademia di Belle Arti di Napoli e co-curatrice della Galleria dell’Accademia, ci parla della collezione Astarita, una donazione di oltre 400 tra acquerelli, matite ed oli su carta, in massima parte di Giacinto Gigante e della Scuola di Posillipo, conservata nel Gabinetto dei Disegni e delle Stampe del Museo, che comprende oggi poco più di 2900 tra disegni e acquerelli e 24000 stampe.
L’interesse critico e collezionistico per le opere e gli artisti della Scuola di Posillipo trovò inizio a Napoli nei primi anni del Novecento.
Fu però nel corso degli anni Venti – negli stessi anni in cui in tutt’Italia si avvertiva la necessità di ristudiare l’arte del XIX secolo, ancora troppo trascurata o confinata solo al campo di una ricerca con forti connotati ‘localistici’ – che iniziarono a presentarsi al pubblico le opere dei maestri più rappresentativi della Scuola grazie a piccole, ma raffinate e colte mostre e pubblicazioni.
E di fatto fu soprattutto merito di collezionisti come gli Astarita, ma anche i Correale e i Ferrara Dentice tra tutti, che critici e storici dell’arte come Sergio Ortolani e Michele Biancale, pur se con spirito e azioni differenti, poterono riscattare la pittura della Scuola di Posillipo, restituendole ‘diritto di cittadinanza’ italiana ed europea e chiarendo quanto il fenomeno del paesaggismo nascesse a Napoli da motivate e precise istanze di ricerca, da rintracciarsi in una tradizione naturalistica e vedutistica iniziata sin dal primo Seicento e rinnovatasi, nel corso di due secoli, grazie all’impulso di artisti diversi sia per origine, sia per intenzioni.
In particolare, è chiaro che tale rivalutazione critica non poté non prendere avvio da Giacinto Gigante, che si presentò al pubblico nel 1928, nelle sale della Villa Floridiana, in un prima mostra monografica curata da Ortolani e che si rilanciò come
“il più geniale artista italiano della prima metà dell’Ottocento, il primo pittore nostro veramente ‘moderno’”
(S. ORTOLANI, Giacinto Gigante, Bergamo, Arti Grafiche, 1930, p. 1).
Fu in occasione della mostra del 1928 che per la prima volta si videro insieme, tra acquarelli, disegni e dipinti, ben 164 lavori dell’artista, provenienti dalle allora recenti acquisizioni museali del Museo Correale di Sorrento e del Museo Nazionale di San Martino e dalle raccolte private delle famiglie Casciaro, Chiarandà, Rebuffat, Gualtieri, Ferrara Dentice e, principalmente, Astarita.
Tra tutte, infatti, proprio la collezione Astarita ebbe una particolare significatività nell’ambito di tali vicende critiche, poiché fu grazie alla generosità e alla intelligenza critica di Angelo Astarita (1894-1969) che l’intera raccolta di opere e documenti – tra tutti l’ancora inedito testamento olografo di Gigante – fu messa nelle mani degli studiosi, affinché si analizzasse e rendesse, come oggi diremmo, fruibile.
Di origini sorrentine, Angelo Astarita, come pure il fratello Mario di poco più giovane (1896-1979), maturò l’amore per l’arte e per la cultura antica e moderna dal padre Tommaso, industriale, armatore e banchiere, lungamente alla guida della Banca della Penisola Sorrentina.
Fu questi, infatti, che nel coniugare l’attività imprenditoriale all’interesse per l’arte, iniziò per primo ad acquistare opere di artisti dell’Ottocento napoletano, come Vincenzo Gemito e Giacinto Gigante, ricoprendo pure incarichi ufficiali per il Museo Artistico Industriale e sostenendo, sin da subito, il Museo Correale di Sorrento.
Mentre Mario si dedicò soprattutto all’archeologia (prestigiosa e nota è la sua collezione di vasi greci, italioti ed etruschi donata al Papa Paolo VI nel 1968 e 1969 per il Museo Gregoriano Etrusco, così come pure la collezione donata al MANN), fu soprattutto Angelo ad ampliare le collezioni di famiglia nel segno delle passioni paterne.
Già tra 1918 e il 1919, prima ancora dunque dell’attestarsi degli studi prima ricordati, gli Astarita acquisirono fogli di Gigante e in breve tempo riuscirono a raccogliere molte opere dei più importanti artisti della Scuola di Posillipo, riuscendo pure a riunire il patrimonio di acquerelli e disegni smembrato tra gli eredi di Gigante stesso e allora diviso tra le famiglie de Luca, Fergola, Manetta, Reale, Witting e Zezon.
Un patrimonio di grandissima importanza dal punto di vista storico-artistico, che nel tempo ha dato la possibilità di ricostruire, seguendo un percorso cronologico, buona parte del corpus grafico di Gigante, così come pure le cosiddette ‘cartiere’ dell’artista: cartelle di acquerelli e disegni, riordinati dall’artista, grazie ad un consapevole lavoro ‘collezionistico’ e ‘documentario’, ricche di appunti autografi e paragonabili ad un vero e proprio diario di viaggio.
Ma tra gli aspetti più interessati del collezionismo degli Astarita, è da ricordare che questi non si limitarono a comprare solo opere di più schietto interesse collezionistico, perché particolarmente belle, ma vollero acquistare anche tanti disegni e studi preparatori, ove ben si colgono gli aspetti più ‘tecnici’ delle vedute di Gigante, necessari per mettere in luce tutto il metodo di lavoro dell’artista sin dagli anni giovanili, segnati dal lavoro presso il Reale Officio Topografico.
La collezione di Angelo Astarita entrò a far parte delle collezioni del Museo di Capodimonte nel 1970, per volontà di Mario, che volle legare allo Stato l’intera messe di materiali riunita dal fratello, morto l’anno precedente.
Si ricordi che, nello stesso 1970, Raffaello Causa, che aveva proseguito l’impegno di Ortolani negli studi sul paesaggismo napoletano, mentre accoglieva il lascito Astarita come Soprintendente, dava alle stampe – a trent’anni dalla morte dell’autore – il volume che Sergio Ortolani aveva scritto su Giacinto Gigante e la pittura di paesaggio a Napoli e in Italia del ‘600 all’800 poco prima del secondo conflitto bellico, mai pubblicato nella sua versione definitiva a causa dei bombardamenti bellici che coinvolsero la tipografia di Terni ove era in stampa.
Un libro tutt’oggi fondamentale (ancora nel 2009 Luisa Martorelli ne ha curato la riedizione critica per l’editore Franco di Mauro) che, come ricordava nella prefazione lo stesso Causa, era nato soprattutto grazie ai rapporti che Ortolani aveva maturato con Angelo Astarita, con il quale condivideva il medesimo entusiasmo e il febbrile interesse per la rivalutazione critica di Giacinto Gigante e della Scuola di Posillipo.
La collezione Astarita fu per la prima volta visibile nella sua interezza nel 1972, in una mostra tenutasi nelle sale del Palazzo Reale di Napoli con catalogo a cura di Nicola Spinosa e prefazione di Causa; dopo poco, nel 1975, si sistemò al primo piano del Museo di Capodimonte, nelle sale poi destinate alla collezione Borgia, con un allestimento di Pietro Paolini, che aveva previsto una esposizione di non più di 50 fogli alla volta.
Conservata nel Gabinetto dei Disegni e delle Stampe del Museo – dove studiosi e storici hanno potuto continuare a studiare e a valorizzare l’importane patrimonio lasciatoci in eredità da questi così intelligenti e sofisticati collezionisti – la collezione è stata riordinata da Serena Mormone e dal 2002 è in parte esposta nelle sale del GDS del Museo, con un allestimento che per motivi conservativi prevede sempre una rotazione ma che si fa parte integrante e significativa delle collezioni dell’Ottocento del Museo di Capodimonte, negli ultimi anni sempre più valorizzate e rese fruibili al pubblico.
Per saperne di più sul Gabinetto dei disegni e delle stampe visita la pagina
Il testo di Federica De Rosa è inserito nell’iniziativa “L’Italia chiamò -Capodimonte oggi racconta”
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