L’Italia chiamò – Capodimonte oggi racconta… il Palazzo Reale di Capodimonte: la prima reggia di Carlo di Borbone
Per la rubrica L’Italia chiamò – Capodimonte oggi racconta… Francesca Capano, Ricercatore di Storia dell’architettura presso il DIARC, Università degli Studi di Napoli Federico II, docente di Storia dell’Architettura presso l’Università degli studi di Napoli Federico II, ci parla della nascita della prima reggia di Carlo di Borbone: il Palazzo Reale di Capodimonte, una storia lunga un secolo.
Carlo di Borbone divenne re di Napoli nel 1734, conquistando, ma forse sarebbe più giusto dire ereditando, un regno amministrato per più di due secoli da viceré.
Il giovane sovrano era il terzo figlio di Filippo V di Spagna e il primo della seconda moglie Elisabetta Farnese, che riuscì a far diventare Carlo prima duca di Parma e Piacenza e poi sovrano di Napoli.
Organizzare una riserva di caccia a Capodimonte fu tra le prime opere intraprese da Carlo (1735).
Il luogo ameno, salubre, molto panoramico, aveva colpito il sovrano ospite dei Carmignano, marchesi di Acquaviva, proprietari di una masseria con casino.
Architetto di fiducia del re era il siciliano Giovanni Antonio Medrano, ingegnere militare, che aveva lavorato giovanissimo in Spagna, ottenendo il prestigioso incarico di precettore del principe per le materie scientifiche, la storia e l’architettura.
Medrano poi aveva accompagnato Carlo in Italia.
Sbarcati a Livorno, avevano soggiornato a Firenze prima di raggiungere il ducato.
Il viaggio verso Parma può essere considerato il grand tour del principe, che ebbe modo di conoscere palazzi, ville, parchi e giardini, appartenuti ai Medici e ai Farnese.
La prima reggia dei Borbone ad essere progettata fu quella di Capodimonte.
Il vecchio regno doveva diventare un nuovo stato e le riforme amministrative andavano di pari passo con l’istituzione dei Siti reali.
A Capodimonte si decise di costruire il palazzo adiacente al bosco.
L’architetto responsabile fu sempre Medrano, incaricato di realizzare la riserva di caccia già nel 1735, quando fu costruito il muro di recinzione che univa i terreni agricoli acquisiti.
A partire dal 1737 il re decise di edificare anche la residenza, rivolgendosi ancora a Medrano, impegnato anche nella realizzazione del Real Teatro di San Carlo di Napoli.
Il palazzo non avrebbe occupato i suoli della riserva: ne furono acquistati altri di fronte all’ingresso del Real Bosco, separati dall’antica strada di Capodimonte, già rinominata Strada Reale di Capodimonte.
Il progetto di una reggia nel Settecento era l’incarico più prestigioso che potesse ricevere un architetto, fu questo probabilmente il motivo per cui fu chiamato a Napoli Giacomo Antonio Canevari.
Canevari, architetto romano più anziano di Medrano, aveva lavorato per il re del Portogallo, era già in rapporti con i sovrani di Spagna e aveva all’attivo prestigiosi progetti romani.
I documenti ci informano che i due lavorarono insieme da luglio 1937 a maggio 1738: precisamente Canevari era aiuto di Medrano.
Frutto di questa collaborazione fu il primo progetto della reggia, documentato da due disegni, conservati presso l’Archivio di Stato di Napoli e l’Archivio del Real Bosco e Museo di Capodimonte, e tre in catalogo della Bibliothèque nationale de France.
Il grande palazzo reale era composto da un grande atrio centrale, destinato al doppio scalone d’onore, con ai lati due cortili di eguali dimensioni.
Il prospetto principale era rivolto al bosco: al primo livello le arcate – tre per l’atrio e una per il cortile – si alternavano alle finestre rettangolari.
Al piano reale le ampie aperture erano terminate con timpani triangolari e solo sui finestroni centrali i timpani spezzati accoglievano gli stemmi.
Al centro vi era un belvedere che si affacciava sul bosco-parco.
Questo progetto fu approvato il 7 febbraio 1738. Ma il lavoro congiunto dei due architetti fu molto travagliato e Medrano riuscì a far estromettere dal cantiere il più anziano Canevari (11 maggio 1738), verso il quale nutriva gelosie e il timore di essere scavalcato.
Il 10 settembre 1738 fu ufficialmente inaugurato il cantiere con la cerimonia della posa della prima pietra ma la costruzione era iniziata nel giugno precedente.
Il palazzo fu realizzato, come lo vediamo oggi, in quasi cento anni – nei quali si succedettero cinque re – grazie al lavoro di molti architetti che si avvicendarono nella direzione del cantiere.
Il primo progetto Medrano-Canevari presenta sostanziali differenze rispetto al palazzo realizzato: le maggiori sono il semplificato prospetto e l’atrio centrale trasformato anch’esso in corte.
La semplificazione della facciata ci restituisce una soluzione sicuramente più banale, che si allontana dal gusto barocco settecentesco del progetto Medrano-Canevari.
Sulla doppia scala reale del vestibolo, invece, molte sono le perplessità per una soluzione poco convenzionale e forse anche difficilmente costruibile, sia per la difficoltà di coprire un atrio ampio come le corti aperte, sia per l’alto costo che avrebbe comportato la costruzione di due scaloni simmetrici così ampi.
La modifica della pianta della reggia con i tre cortili uguali, collegati da ampi porticati, è oggi un significativo carattere, poiché consente
“quel libero fluire degli spazi a pianterreno che costituisce, forse, l’elemento spaziale più qualificante dell’intera composizione”
(Alisio 1979)
La costruzione terminò con rallentamenti, ripensamenti e variazioni.
La prima interruzione risale al 1741 quando Medrano fu coinvolto nello scandalo di peculato per i lavori al teatro regio che portò alla carcerazione e morte di Angelo Carasale, il più potente impresario napoletano del Settecento.
Anche Medrano fu accusato, ritenuto colpevole, estromesso da tutti i cantieri, tra cui quello di Capodimonte, ed esiliato.
Alla direzione di Capodimonte si avvicendarono Ferdinando Sanfelice, Giuseppe Astarita, Ferdinando Fuga, per citare solo gli architetti del XVIII secolo.
Il documento iconografico che meglio racconta il Sito reale alla fine del secolo è il Piano topografico del Real Bosco di Capodimonte, di ignoto autore in catalogo presso l’archivio di questo museo.
Qui sono rappresentati il palazzo reale con i tre cortili ma è probabile che a quella data fosse terminata solo la costruzione intorno alla corte meridionale, i primi due livelli intorno alla corte centrale e che la terza fosse incompleta.
I due saloni centrali erano stati terminati da Ferdinando Fuga, che potrebbe essere stato l’autore anche della bellissima scala di pianta esagonale/ottagonale a doppia rampa elicoidale sistemata nel braccio meridionale, la cui balaustra neoclassica sarebbe stata eseguita più tardi.
È una struttura di grande raffinatezza, che permise di collegare le considerevoli altezze dei piani in uno spazioso volume nonostante le dimensioni contenute della proiezione di pianta e permettendo alle rampe, che non si incontrano mai, un sinuoso svolgimento.
La scala è la perfetta rappresentazione della sapienza strutturale settecentesca di cui Fuga fu sicuramente uno dei maggiori esponenti.
Separato dalla strada si trovava il parco reale, anche questo frutto del lavoro congiunto di più architetti tra i quali cito per il Settecento Ferdinando Sanfelice, alla cui estrosa fantasia si attribuisce il ventaglio dei viali, anima del bosco, che partono dal rond point centrale.
Il bosco era avvolto dalle aree arbustate con i recinti per la caccia reale.
Fuga continuò il progetto sanfeliciano, arricchendo il parco con le statue provenienti dalla collezione Farnese.
Con il decennio francese (1806-1815) i sovrani decisero di abitare l’incompiuta reggia di Capodimonte e posero le basi per portare a termine il definitivo completamento del Sito reale.
Giuseppe Bonaparte, grazie alla soppressione degli ordini religiosi, poté espropriare la chiesa e il convento di Sant’Antonio, cominciando quel processo di unificazione del Sito reale, continuato da Gioacchino Murat.
Furono acquisite anche le altre proprietà che dividevano il bosco-parco dalla reggia; furono costruiti il nuovo muro di cinta, i nuovi accessi e le nuove strade che costeggiavano la recinzione del sito.
Ferdinando IV, tornato come Ferdinando I re del Regno delle due Sicilie, continuò il lavoro dei napoleonidi.
Antonio Niccolini fu nominato direttore del Real sito di Capodimonte, lavorò al palazzo e al parco, introducendo il giardino inglese, poi piantato da Friedrich Dehnhardt, e proponendo per il palazzo più progetti per completare la costruzione del piano attico della corte centrale, degli ultimi due della corte settentrionale e dello scalone reale.
Ma a terminare la reggia fu Tommaso Giordano, prima aiuto di Niccolini e poi suo successore a causa di incomprensioni tra Niccolini e Ferdinando II.
Il corposo fondo Antonio Niccolini del Museo Nazionale di San Martino custodisce il grande lavoro prodotto dall’artista per la reggia.
Invece il palazzo fu finito dal meno dotato Giordano, che sistemò lo scalone d’onore nell’ala settentrionale, proponendo una scala di gusto neoclassico di stampo greco-pestano, che oggi conduce i visitatori al primo piano del museo.
Il testo di Francesca Capano è inserito nell’iniziativa “L’Italia chiamò – Capodimonte oggi racconta”
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