L’Italia chiamò – Capodimonte oggi racconta… Crocifissione di Carmine Di Ruggiero
Per la rubrica L’Italia chiamò – Capodimonte oggi racconta… Maria Flavia Lo Regio, storica dell’arte e collaboratrice presso l’associazione Amici di Capodimonte, ci parla di una delle ultime opere arrivate a Capodimonte per arricchire la sezione di Arte Contemporanea del museo: la Crocifissione realizzata dall’artista napoletano Carmine Di Ruggiero.
Da diversi anni la direzione del Museo di Capodimonte, coltiva l’ambizioso obiettivo di esaltare l’identità del sito anche attraverso l’acquisizione di opere legate al territorio.
In questa prospettiva, nel 2019 la sezione di arte contemporanea si è arricchita di un nuovo dipinto, la Crocifissione, realizzato e donato da uno dei maggiori esponenti dell’arte napoletana contemporanea, Carmine Di Ruggiero.
Nella Crocifissione, il tema sacro si innesta in una ricerca condotta sin dagli anni Cinquanta del ‘900, per cui gli elementi figurativi sono ancora percepibili attraverso l’uso del colore e della luce vibrante.
Una composizione nuova, scomposta, che risponde all’impulso di gesti rapidi, in cui il corpo sulla croce è suggerito dalla materialità del colore, steso in grumose stratificazioni con veloci pennellate.
L’artista va oltre la forma e l’immagine, verso una composizione libera, dolorosa ed emozionante.
Nel retro del dipinto si distinguono trama e ordito degli spessi tessuti dei sacchi di iuta comunemente utilizzati per contenere il caffè o altre sostanze, che negli anni giovanili l’artista recuperava tra coloniali e negozi d’arte nei pressi dell’Accademia per riadoperarli come tele, inchiodandoli ai telai in legno (sono infatti riconoscibili timbro e marca di una torrefazione di caffè, mentre in un’altra tela, si distinguono timbro e dicitura delle sostanze chimiche contenute nel sacco).
E’ un dettaglio significativo che rivela parte dell’esperienza di Carmine Di Ruggiero, il quale, come altri giovani artisti nel dopoguerra, per continuare a dipingere doveva procurarsi a costi accessibili materiali semplici e meno dispendiosi delle tele, in una Napoli, quella della fine degli anni ’50, ancora sofferente delle privazioni provocate dal conflitto.
Al Museo di Capodimonte si può ammirare un altro suo importante lavoro, Resti di una città combusta del 1962 donato nel 2007, dove la forma prende nuovamente vita e l’immagine tenta di ricomporsi in veloci e larghe pennellate.
L’esposizione e l’accostamento delle due opere permettono un’interessante ricostruzione di parte del percorso figurativo ed evolutivo dell’artista.
“L’opera è isolata rispetto al percorso artistico di quegli anni, è un pezzo di pittura in cui ho sempre creduto e Capodimonte è il museo che può “salvarla” e raccontarla con le sue molte opere di arte sacra”
(Carmine Di Ruggiero)
L’artista si forma all’Accademia di Belle Arti di Napoli con il pittore Emilio Notte, figura centrale lungo il suo cammino formativo, con cui conserverà nel tempo un costante e proficuo dialogo.
Notte rivisita con spirito cosmopolita molte delle avanguardie europee, muovendosi con disinvoltura dall’esperienza futurista dei suoi esordi all’adesione a movimenti come Ritorno all’ordine e ancora, negli anni Quaranta, all’impressionismo alla Renoir, per poi passare al picassismo del periodo rosa e rivisitare Cézanne con lo spirito dei neorealisti.
L’allievo Di Ruggiero osserva il maestro e ne ricalca i passi in questa ricerca di nuove forme espressive, ma ben presto la sua pittura muta e si evolve in una direzione del tutto inaspettata, che lo porterà ancora giovanissimo, attraverso la partecipazione alla vivace vita artistica della città, a cogliere i primi prestigiosi riconoscimenti tra cui il Premio Cesenatico nel 1956, nel 1959 e nel 1961 gli viene assegnato il Premio Spoleto.
La sua attività viene a caratterizzarsi per un linguaggio originale, che raggiunge il giusto equilibrio tra soluzioni artistiche a lui coeve ed altre appartenenti al passato, esprimendo una personalità in continuo cambiamento, capace di muoversi dal post-cubismo, all’informale, fino ad arrivare alla oggettualizzazione dell’immagine con le opere-ambiente, dove abbandona la bidimensionalità della tela per invadere lo spazio con materiali plastici e modellabili, in cerca di una interazione tra l’opera e chi la osserva.
Il fil rouge che caratterizza tutte le sue opere è la luce.
Nel 1976 è tra i fondatori del gruppo Geometria e Ricerca con Barisani, De Tora, Riccini, Tatafiore, Testa e Trapani, movimento autonomo napoletano che si distingue per un’analisi della forma compiuta utilizzando il linguaggio geometrico.
Il triangolo diventa soggetto ricorrente nei suoi lavori, impiegato con serialità modulare e non come forma pura e assoluta.
L’artista espone più volte alla Biennale di Venezia e in altre prestigiose sedi espositive, italiane ed estere.
È stato inoltre titolare della cattedra di Pittura dell’Accademia di Belle Arti di Napoli e direttore delle Accademie di Belle Arti di Catanzaro e di Napoli, città, quest’ultima, verso la quale ha sempre nutrito un sentimento speciale che lo ha legato ad essa, per usare le sue stesse parole, “come un filo a doppia mandata“.
Di Ruggiero si muove in una scena artistica, quella italiana del secondo dopoguerra, attraversata da un’intensa spinta verso il cambiamento, contraddistinta nell’insieme dall’esigenza di recidere i legami con il passato e scegliere forme di comunicazione innovative nel linguaggio e nei contenuti.
In questa cornice gli artisti di alcune città, tra cui in particolare Roma e Milano, abbracciano con slancio le ricerche portate avanti dalle avanguardie internazionali.
Anche a Napoli, dove Di Ruggiero vive e si forma, emerge una forte volontà di rinnovamento.
La città è futurista, neorealista, informale e creativa, è pronta a proporsi come fucina di artisti brillanti, anche se fatica a trovare una immediata collocazione nel panorama internazionale, risentendo forse del suo marcato legame con la cultura di origine, che tenta di lasciarsi alle spalle come i segni delle rovine provocate dalla guerra.
La nuova generazione di giovani artisti napoletani si scopre, però, sorprendentemente unita dal comune desiderio di cambiamento attraverso la sperimentazione: reagendo all’indifferenza e all’inadeguatezza degli organi istituzionali e di informazione, superando i limiti dovuti all’insufficienza di strutture all’altezza quali biblioteche specializzate e spazi espositivi, essi riusciranno a raggiungere posizioni di rilievo e importanti riconoscimenti ben oltre i confini regionali, in Italia e in Europa.
Parallelamente allo scenario nazionale e internazionale, anche nel capoluogo partenopeo nascono diversi gruppi di artisti con l’obiettivo di realizzare il rinnovo culturale e artistico della città.
In quegli anni, precisamente nel 1957, viene istituito a Napoli grazie a Bruno Molajoli il Museo e Gallerie d’Arte medievale e moderna, l’attuale Museo e Real Bosco di Capodimonte, un luogo che custodisce non solo capolavori dell’arte antica e moderna, ma anche, e ne è la peculiarità, una collezione di arte contemporanea inaugurata nel 1978 con la mostra di Alberto Burri, voluta dall’allora Soprintendente Raffaello Causa.
Nel 1991, in occasione della mostra Fuori dall’Ombra, grazie a Nicola Spinosa, allora Soprintendente del Polo Museale della Campania, viene realizzata una sezione dedicata ai grandi artisti contemporanei napoletani: Renato Barisani, Lucio Del Pezzo, Armando De Stefano, Carmine Di Ruggiero, Raffaele Lippi, Augusto Perez, Mario Persico, Gianni Pisani, Domenico Spinosa e Guido Tatafiore.
La creazione di questa sezione, che testimonia la grande vivacità artistica e culturale della città di Napoli tra la fine degli anni Quaranta e gli anni Sessanta del Novecento, si deve alla generosità degli stessi artisti e delle loro famiglie, che hanno effettuato importanti donazioni al Museo di Capodimonte.
Il testo di Maria Flavia Lo Regio è inserito nell’iniziativa “L’Italia chiamò – Capodimonte oggi racconta”
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