L’Italia chiamò – Capodimonte oggi racconta… Carlo Antonio Grue, il mago della maiolica
Continua il nostro viaggio tra le bellezze del Museo e Real Bosco di Capodimonte.
Per la rubrica L’Italia chiamò – Capodimonte oggi racconta… Lucia Arbace, Dirigente Storica dell’arte presso il Mibact, direttore regionale dei musei di Abruzzo e Molise e direttore del Munda (Museo Nazionale d’Abruzzo) all’Aquila, ci parla di una delle opere presenti nella collezione De Ciccio: la Caduta di Fetonte, il superbo piatto impreziosito da raffinate lumeggiature in oro, dipinto intorno al 1680 da Carlo Antonio Grue, il mago della maiolica.
Il Palazzo Reale di Capodimonte – una reggia borbonica costruita nel Settecento già per ospitare le collezioni d’arte – è un impareggiabile scrigno di tesori.
Protegge e custodisce inoltre, come in un bozzolo, alcuni insiemi di opere i quali manifestano una loro precisa identità come veri e propri piccoli musei all’interno del grande museo solennemente inaugurato nel 1957.
Penso soprattutto all’Armeria e alla collezione De Ciccio, che hanno conquistato sin dagli anni cinquanta un proprio autorevole spazio, imponendosi come un valore aggiunto rispetto al percorso principale di visita che si snoda al primo piano lungo il perimetro dell’edificio.
Era stato lo stesso Mario De Ciccio, munifico donatore di origine siciliana, a delineare il primo allestimento della sua prestigiosa raccolta, bottino di una vita di accanite ricerche; ricca di arredi, dipinti, sculture, paramenti sacri, argenti, vetri e soprattutto tante, tante ceramiche, le quali in larga misura vantano provenienze illustri.
Sono rappresentati quasi tutti i vertici raggiunti da quest’arte del fuoco nel corso della sua lunga storia, che coincide con quella dell’umanità: vasi greci e italici a figure rosse su fondo nero o viceversa, albarelli e grandi piatti a lustro di Manises, porcellane orientali e occidentali, e una splendida collezione di maioliche rinascimentali che include anche due capolavori assoluti.
Eccentrici rispetto al generale contesto ben ne rappresentano un coerente antefatto e un’appendice finale.
Da un lato va evidenziata la rarissima coppa medioevale con la sirena bicaudata che reca stemmi araldici, dipinta in bruno di manganese, di controversa attribuzione tra Orvieto e Napoli.
Dall’altra estremità si pone l’unico esemplare di epoca barocca: il superbo piatto dipinto verso il 1680 da Carlo Antonio Grue con la Caduta di Fetonte, impreziosito dalle raffinate lumeggiature in oro, fissate in una seconda cottura.
Non esagero affermando che si tratta di uno dei più perfetti lavori dell’artista nato a Castelli ma cittadino del mondo, corteggiato ai suoi tempi da una clientela internazionale e amatissimo ancora oggi dai collezionisti più avvertiti.
Basti ammirare la tipica tavolozza a cinque colori, ottenuta con pigmenti naturali, che declina in mille sfumature trasparenti, dando corpo immutabile ad uno dei miti più celebri, narrato da Ovidio nelle Metamorfosi.
Una storia che occorre qui brevemente raccontare, perché il tema parte da lontano ma cela un monito di straordinaria attualità, quasi una metafora della emergenza ambientale contemporanea.
Fetonte a tutti costi vuole guidare il carro del Sole, un privilegio precluso perfino agli dei.
Suo padre tenta in tutti i modi di dissuaderlo delineando la pericolosità dei percorsi tra le figure dello Zodiaco.
Incurante della sua fragile condizione umana, il figlio del Sole parte ugualmente ma, subito in difficoltà, è preso dal panico non riuscendo a governare i cavalli.
Le figure dello zodiaco lo spaventano e Fetonte, perso il controllo del carro, si avvicina pericolosamente alla terra. Provoca una catastrofe, con incendi e cataclismi ovunque. E’ una vera apocalisse.
Narra Ovidio nelle Metamorfosi:
“I punti più alti della terra cominciano a prendere fuoco, il suolo perde gli umori, si secca, si fende, i pascoli si sbiancano, alle piante si bruciano le fronde, e la messe inaridita fa da esca al flagello che la divora. Ma questo è niente. Ecco le grandi città van distrutte con le loro mura … Bruciano i boschi coi monti…. che prima pullulavano di sorgenti, … un rogo immenso è l’Etna, … il Caucaso brucia …”
L’immane disastro ambientale non risparmia le Alpi sublimi e l’Appennino, l’Africa e le fonti della Grecia mentre Reno, Rodano, Po e persino Nilo e Gange hanno grossi problemi, sicché Giove è costretto a intervenire per fermare il carro impazzito che stava distruggendo la terra.
Con un fulmine fa sbalzare Fetonte dal carro con una rovinosa caduta e il suo corpo resta a marcire nel fiume continuando a provocare problemi perfino agli Argonauti in viaggio.
Come dire al disastro non c’è mai fine… e guai a chi si spinge troppo oltre incurante degli insegnamenti dei padri!
Per definire la Caduta di Fetonte, Carlo Antonio ha liberamente elaborato dettagli da due diverse incisioni anonime, armonizzandole in maniera sublime nel cavetto del piatto.
Sulla tesa putti sorridenti, ghirlande floreali e mascheroni, stemperano la dura morale della favola con fremiti di gioia, guadagnando altresì il ruolo di timone di un orientamento imprescindibile.
L’esemplare della collezione De Ciccio sarà proposto in autunno, assieme ad altre prestigiose maioliche istoriate da Carlo Antonio Grue, nella grande mostra dedicata a Luca Giordano.
E’ un accostamento inedito, per niente scontato, figlio di una intuizione felice di Stefano Causa, prontamente accolta da chi scrive.
Protagonisti di spicco di quella grande stagione artistica che coniuga l’esuberanza barocca a una mai sopita voglia di ordine classico, entrambi onorano la pittura, l’uno su tela ed affresco, l’altro su maiolica, con magistrali e preziosi “effetti speciali”, memori delle rutilanti soluzioni scenografiche di Pietro da Cortona ma anche sensibili agli intensi stimoli e alle scoperte propri della cultura del tempo, sul doppio binario della scienza e della economia.
Mentre eccezionali quantità di oro provenienti dalle sterminate miniere d’oltreoceano giungono sui mercati occidentali, a vantaggio di una produzione artistica ridondante e sfarzosa, Isaac Newton pone il sole al centro del movimento planetario e definisce la teoria della gravitazione e le indagini sulla rifrazione della luce.
Mi piace immaginare che le novità rivoluzionarie emerse in tutti i settori dello scibile umano grazie a menti geniali, prontamente registrate dagli autorevoli membri della Royal Society fondata nel 1660 e da una letteratura specialistica d’alto livello corredata da accurate illustrazioni a stampa, siano state prontamente percepite dai nostri artisti, amatissimi dagli stessi colti committenti ai quali tali sviluppi certo non dovettero sfuggire.
Cruciali in tal senso sono stati gli anni settanta e primi ottanta del Seicento, i quali coincidono con il massimo picco della fortuna di Luca Giordano “pennello d’oro” e con l’attività matura di Carlo Antonio Grue, creativo di raffinate maioliche rese ancora più effervescenti dalle lumeggiate in oro zecchino.
E senza dubbio la splendida tela con il San Michele Arcangelo che scaccia i demoni, realizzata per la chiesa dell’Ascensione a Chiaia, emblema della mostra in itinere, e il piatto istoriato con la Caduta di Fetonte, ben rivelano le affinità elettive di questi due grandi protagonisti della medesima stagione artistica.
Del resto Giordano e Grue, dopo aver incantato i fortunati abitanti dei sontuosi palazzi nobiliari del tempo, continuano ad alimentare i paesaggi della fantasia e le spirali dei sogni” dei più sensibili cultori dell’arte.
Per saperne di più sulla collezione De Ciccio visita la pagina dedicata
Per saperne di più sulla mostra Luca Giordano, dalla Natura alla Pittura visita la pagina dedicata.
Il testo è inserito nell’iniziativa “L’Italia chiamò – Capodimonte oggi racconta”
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