L’Italia chiamò – Capodimonte oggi racconta… Apollo e Marsia di Giuseppe Gricci
Per la nostra rubrica L’Italia chiamò – Capodimonte oggi racconta… Paola Giusti, storico dell’arte del Museo e Real Bosco di Capodimonte e curatrice delle arti applicate, ci parla di Apollo e Marsia, porcellana policroma realizzata da Giuseppe Gricci, capo-modellatore della Real Fabbrica della porcellana di Capodimonte, acquisita di recente per incrementare una collezione di primaria importanza culturale per l’identità del sito.
Il Museo e Real Bosco di Capodimonte ha recentemente acquisito, grazie ad una donazione del Gruppo del Mezzogiorno dei Cavalieri del lavoro, un importante gruppo plastico della Real Fabbrica della porcellana di Capodimonte.
È questo, forse, uno dei più significativi incrementi del patrimonio artistico del Museo e Real Bosco di Capodimonte avvenuti negli ultimi anni.
Proveniente dal mercato antiquario londinese, è stato individuato dal direttore Sylvain Bellenger come oggetto da acquisire per accrescere il nucleo di porcellane della manifattura di Capodimonte e poi – grazie alla preziosa sinergia stabilita col Gruppo del Mezzogiorno dei Cavalieri del lavoro – acquistato da questi ultimi per il museo.
Un acquisto davvero importante, poiché entro lo straordinario patrimonio di porcellane del museo, che vanta circa seimila pezzi, il nucleo della manifattura carolina è davvero esiguo.
Nonostante nel settimo e ottavo decennio dell’Ottocento l’allora curatore del museo Annibale Sacco concentrasse a Capodimonte tutte le più importanti porcellane allora disperse nei vari siti reali, egli riuscì a mettere insieme – anche acquistando opere sul mercato – poco più di una ventina di oggetti, tra cui l’incredibile salottino privato della regina Maria Amalia di Sassonia realizzato per la Reggia di Portici e trasportato da lì a Capodimonte proprio grazie ad Annibale Sacco.
Un numero particolarmente esiguo soprattutto se raffrontato agli oltre novecento pezzi – fra porcellane e biscuits – della Fabbrica di Napoli, quella voluta da Ferdinando IV.
Così che dopo la donazione del 1958 della bellissima collezione di Mario De Ciccio, che ha portato al museo ventinove statuine o gruppi in porcellana di Capodimonte, e dopo l’acquisto voluto da Raffaello Causa di una importante Immacolata in porcellana bianca – che risale al lontano 1972 – è questo il primo incremento avvenuto nel campo.
Ad indizio dell’intento dell’attuale direttore, Sylvain Bellenger, di volere rafforzare un nucleo, quello delle porcellane di Capodimonte, di primaria importanza culturale per l’identità del sito.
L’opera raffigura lo scuoiamento di Marsia, così come compare nella mitologia greca e nelle Metamorfosi di Ovidio: il satiro, che aveva osato sfidare il dio protettore di tutte le arti e della musica in un confronto musicale, e che ne era uscito sconfitto, viene da questi legato ad un albero e scuoiato vivo.
Vediamo dunque Apollo, proteso in avanti sul torace del satiro, aprire con le mani la profonda incisione aperta dal suo coltello, che giace per terra, mentre Marsia – terrorizzato – cerca di divincolarsi dalle funi con cui è legato al tronco e, sgranando gli occhi, spalanca la bocca in un urlo disperato di dolore.
Marcato con il giglio incusso al di sotto della base, il gruppo può essere senza difficoltà riferito alla manifattura di Capodimonte, protetta e finanziata da Carlo di Borbone dal 1743 sino alla sua partenza per la Spagna, nel 1759.
Una manifattura così profondamente amata dal sovrano da spingerlo (lui che in un atto di scenografica correttezza, partendo per la Spagna si era sfilato dal dito un anello montato con una gemma pompeiana restituendola al regno per nulla sottrarre ad esso) a distruggerla (dalle apparecchiature ai forni, ai torni e ai macchinari) nel momento della sua partenza perché
“per sempre restasse legata al suo nome“
(Camillo Minieri Riccio).
La marca utilizzata per contrassegnare la produzione di Capodimonte (e poi quella spagnola del Buen Retiro, aperta dallo stesso Carlo di Borbone appena salito sul trono di Spagna) fu il giglio, emblema araldico della casata.
Questa marca, dipinta in blu sotto coperta, in rarissimi casi tracciata in nero o in oro, o applicata in rilievo, nel caso della produzione plastica (a causa della irregolarità delle basi) venne invece, e solo raramente, impressa – o incussa, usando la dizione tecnica appropriata – sui pezzi ancora crudi, utilizzando, come nel nostro esemplare, dei piccoli punzoni circolari.
L’Apollo e Marsia del Museo e Real Bosco di Capodimonte va riferito al geniale capo-modellatore della manifattura, Giuseppe Gricci, giunto a Napoli da Firenze nel 1738 come scultore di Sua Maestà Siciliana e sin dall’anno di fondazione della manifattura – 1743 – posto dal sovrano a dirigervi la Camera del modello.
Gricci (che improntò la fase iniziale della produzione sui temi galanti, le maschere della Commedia dell’ Arte e i venditori ambulanti, che rientravano in un filone di gusto rococò più consueto, e comune ad altre manifatture nel frattempo apertesi in Europa, prima fra tutte quella di Meissen) negli ultimi anni di attività della manifattura, a partire dal 1755 o poco più avanti, si aprì anche ad una produzione di stampo più classicista, con temi di ispirazione letteraria, tratti dalla Gerusalemme liberata di Torquato Tasso (così ad esempio, il Goffredo sulla tomba di Dudone del Museo Duca di Martina), o di argomento classico, molto rari, di cui fa parte l’Apollo e Marsia qui discusso.
Caratterizzati (specie quelli dedicati alla Gerusalemme liberata) da un tono aulico e magniloquente, più impegnato e monumentale rispetto a quello fresco e ammiccante delle figurine piccole e di soggetto settecentesco, tutti di dimensioni maggiori rispetto ai pezzi più usuali (con figure generalmente fra i 15 e i 18 centimetri), attenti alla anatomia della figura ed alla resa di muscoli e carni anche al di sotto di abiti e corazze, o in piena evidenza, questi esemplari si avvicinano per piglio e respiro alla produzione più impegnata, probabilmente destinata al sovrano o alla corte, quella che si vede nella Pietà del Museo Duca di Martina o nel Parato d’altare del Museo e Real Bosco di Capodimonte.
L’Apollo e Marsia presenta, cosa che ricorre solo in un altro caso (un giovane Tancredi già in collezione privata romana), un nudo integrale, che va inteso come una preziosa anticipazione della svolta in senso classicista che Carlo di Borbone seppe imporre all’ultimo periodo di attività della manifattura di Capodimonte, per poi proseguirlo in quella spagnola da lui voluta a Madrid, nel Buen Retiro (1760-1812).
Insieme agli aspetti aulici e colti sino a qui esaminati l’Apollo e Marsia, di cui si conoscono due altre redazioni, realizzate utilizzando la medesima forma, sottolinea un altro aspetto molto importante della Real Fabbrica di Capodimonte, cioè quello della apertura alla vendita dei prodotti.
Fu infatti, quella delle porcellane, l’unica manifattura protetta di Carlo di Borbone capace di realizzare oggetti da immettere sul mercato.
Con l’apertura di una bottega di vendita e l’organizzazione di una fiera estiva nei pressi del Palazzo Reale, la fabbrica seppe mostrare (a differenza di quelle degli arazzi, o delle pietre dure, dalla produzione costosa, ridotta nei numeri e di sola destinazione regia), la capacità di realizzare oggetti seriali.
Scatole, tabacchiere, giuochi (e cioè servizi da the e da tavola) ma soprattutto statuine, potevano essere acquistati dalla aristocrazia ed alta borghesia locali.
L’Apollo e Marsia di Capodimonte e le altre due redazioni conosciute del modello (la prima a Roma, Musei Capitolini, la seconda già in Collezione Pirotta a Milano), mostrano come era possibile differenziare gruppi o statuine – identici nella forma – grazie a un differente decoro pittorico e grazie all’inserimento di piccoli, differenti dettagli plastici (le funi e i chiodi che legano le gambe di Marsia e il coltello ai piedi di Apollo nel nostro esemplare; la cetra e le fronde dell’albero nell’esemplare già Pirotta, la diversa posizione della siringa ai piedi del dio ferino nelle tre redazioni).
L’inserimento di questi piccoli dettagli di variante, modellati a parte ed applicati sul pezzo già formato, consentiva al capo-modellatore di ottenere pezzi unici, tutti differenti tra loro, anche nel caso di utilizzo ripetuto dello stesso modello.
L’intento di Carlo, sovrano illuminato, e del suo primo ministro Montealegre di fornire nuovo impulso all’economia del Regno anche grazie all’apertura di manifatture protette realizzate sulla falsariga del modello di Colbert, ottenne invece soprattutto costosi ed esclusivi oggetti per la corte, ma venne in parte raggiunto in parte raggiunto proprio con le porcellane, il nuovo oro bianco del secolo dei lumi.
Giuseppe Gricci
Apollo e Marsia, 1757-1759 circa
porcellana policroma
marca: giglio incusso
h cm 25
Il testo di Paola Giusti è inserito nell’iniziativa “L’Italia chiamò – Capodimonte oggi racconta”
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