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L’Italia Chiamò – Capodimonte oggi racconta… 5 maggio 1957: nasce il Nuovo Museo

Per la rubrica L’Italia chiamò – Capodimonte oggi racconta… celebriamo il 63esimo anniversario dell’inaugurazione del Museo e delle Gallerie Nazionali di Capodimonte avvenuta il 5 maggio del 1957 con il taglio del nastro del Soprintendente Bruno Molajoli alla presenza del presidente della Repubblica Giovanni Gronchi.

Un’opera eccezionale durata cinque anni, un allestimento pensato per il pubblico in cui la vera innovazione era la luce, mediata tra fonte naturale e artificiale, studiata per far dialogare opera e osservatore e per fare di Capodimonte uno dei più bei musei al mondo.

L’instancabile collaborazione tra Bruno Molajoli, Bruno De Felice, Ferdinando BolognaRaffaello Causa, e tutti i dipendenti, uomini di ingegno e di cuore come li definì la stampa, che si riconoscevano parte di una squadra.

Un’esperienza unica in termini di architettura, di storia dei musei e di storia dell’arte, da ricordare non per guardare nostalgici al passato ma per costruire con speranza il futuro.

A ripercorrere le tappe principali un testo di approfondimento dell’architetto Rosa Romano con foto e documenti d’epoca della Fondazione De Felice, dell’Archivio Carbone e dell’Archivio Fotografico della Campania, nonché il video inaugurale dell’Istituto Luce.

 

“Dopo cinque anni di intenso lavoro Capodimonte si apre al pubblico”

 

Queste le parole con cui il Soprintendente alle Gallerie della Campania Bruno Molajoli esordisce nel volume Notizie su Capodimonte, redatto in occasione della apertura del Nuovo Museo.

Sin da queste prime parole si comprende quale fosse l’obiettivo primario del Molajoli:

 

  • restituire alla città e al paese un pezzo della sua storia
  • raccontare questa storia a/per un pubblico vario, numeroso e internazionale.

 

Il Nuovo Museo di Molajoli concentrava a Capodimonte tre musei in uno e poneva i visitatori al centro di questa offerta.

 

L’idea era di creare, come Molajoli stesso riferisce:

 

“un grande istituto in cui il pubblico possa trovare un filo conduttore, una scelta, una varietà di interessi culturali, uno stimolo estetico, senza tuttavia rimanere oppresso o intimidito. Esattamente 100 sale oggi costituiscono lo sviluppo complessivo di queste raccolte a disposizione del pubblico.”

 

Il 5 maggio del 1957 questo proposito, che sin dall’inizio aveva il sapore di una scommessa e contemporaneamente di una promessa: restituire Capodimonte al paese e renderlo aperto al pubblico, è divenuto realtà.

 

Come ogni evento inaugurale che si rispetti non potevano mancare né gli inviti e né gli ospiti d’onore:

 

Invito inaugurazione 5 maggio 1957

 

La visita inaugurale del presidente della Repubblica

Inaugurazione – Archivio Fotografico Riccardo Carbone – Napoli

 

La cerimonia inaugurale nel cortile

 

Inaugurazione – Archivio Fotografico Riccardo Carbone – Napoli
Inaugurazione – Archivio Fotografico Riccardo Carbone – Napoli

 

La notizia della apertura di Capodimonte fu acclamata da tutti i giornali nazionali e internazionali e nell’articolo pubblicato su L’Europeo del 2 giugno 1957 Roberto Longhi, sintetizzando ad arte la portata dell’evento, scrive:

 

“Sfiancati dalle mostre… ci si ristora volentieri alla mostra finalmente di un museo.

…Il principio della storia è quando Paolo III Farnese ha il buon gusto (o l’orgoglio) di posare per Tiziano, ritrattista cesareo; il mezzo, è quando tocca a Carlo di Borbone la buona sorte di incamerare i beni della madre Elisabetta Farnese e portarseli a Napoli; il fine è quando il Molaioli li riporta con ben altro animo a Capodimonte. ”

 

Una storia di “carreggiamenti” dunque che continuerà a Napoli al seguito dei vari sovrani.

 

Pur scelta come sede ufficiale della collezione sin dal 1757 occorrerà aspettare ben due secoli affinché i dipinti trovino a Capodimonte la loro collocazione definitiva, basti pensare che ancora a metà del Novecento essi si trovavano nel Regio Museo degli Studi.

 

E fu nel caos del dopoguerra che s’inserì l’azione di Molajoli che nel 1948 otteneva il decreto che riconosceva Capodimonte sede della Galleria Nazionale e che nel 1950 presentava il progetto di riorganizzazione del Palazzo in Museo, progetto finanziato e realizzato con i fondi della Cassa del Mezzogiorno.

           

Cartelli dei Lavori posti sul muro di cinta del Bosco – Foto Fondazione De Felice

 

Non è infatti un mistero che in Italia le grandi trasformazioni spesso avvengano sotto la spinta dell’emergenza anzi è proprio lo stato di urgenza a definirne l’opportunità.

Nella maggioranza dei casi il buon esito dell’azione è conseguenza di incontri che divengono relazioni e in tal senso non si può, parlando della storia del Museo di Capodimonte, prescindere dall’incontro Molajoli – De Felice.

Parlare di questa relazione umana e professionale significa parlare di uno dei momenti più floridi della museologia e museografia a Napoli, una esperienza unica in termini di architettura, di storia dei musei e di storia dell’arte.

Lo stesso soprintendente alle Gallerie di Napoli nel volume Notizie su Capodimonte, esprime gratitudine a tutto il personale dipendente di ogni grado e mansione e ringrazia uno ad uno lo staff che ha lavorato gomito a gomito insieme con lui alla realizzazione di tale ambizioso progetto.

In particolare ringrazia il prof. Ferdinando Bologna per l’ordinamento della Galleria Nazionale, il dott. Raffaello Causa per l’ordinamento dell’Ottocento e l’organizzazione dei restauri, il dott. Luigi Penta per l’ordinamento delle armi, la dott. Elena Romano per l’ordinamento delle porcellane, il dott. Oreste Ferrari per l’ordinamento del medagliere e dei bronzi.

A conclusione del testo scrive:

 

“Infine, particolarissimo rilievo merita l’attività dell’Ufficio Tecnico sotto la direzione del prof. Ezio Bruno De Felice… che ha bene meritato della fiducia riposta nella sua sensibilità artistica, nell’esperienza tecnica, nel disinteresse e, si può dire, nell’umiltà, richieste da un opera di così eccezionale mole, impegno e responsabilità, che ha potuto essere concepita, condotta durante oltre cinque anni e felicemente conclusa, grazie soprattutto ad un superiore spirito di dedizione e di schietta e stretta, quotidiana collaborazione, il cui ricordo ci è gradito segnare a conclusione di queste pagine”.

 

La maggior parte degli interventi realizzati per la grande riapertura post seconda guerra mondiale trovano la loro ragion d’essere nell’immagine precisa che per Molajoli doveva avere Capodimonte: immagine ben riassunta dallo slogan TRE MUSEI IN UNO usato dalla stampa dell’epoca per annunciare l’avvenimento .

L’idea era di creare, come Molajoli stesso riferisce:

 

“un grande istituto in cui il pubblico possa trovare un filo conduttore, una scelta, una varietà di interessi culturali, uno stimolo estetico, senza tuttavia rimanere oppresso o intimidito. Esattamente 100 sale oggi costituiscono lo sviluppo complessivo di queste raccolte a disposizione del pubblico.”

 

I lavori furono effettivamente avviati nel ’52 e si conclusero nel ’57 con l’inaugurazione il 5 maggio del Museo e Gallerie Nazionali di Capodimonte.

I progetti di trasformazione interessarono il Piano Nobile per la sistemazione delle Arti Decorative e della Galleria dell’Ottocento, il piano secondo per la sistemazione della Pinacoteca Nazionale, i sottotetti per la creazione di laboratori di restauro e depositi, le coperture per la realizzazione di lucernai e velari che portarono ad una illuminazione d’avanguardia per l’epoca.

La vera sfida fu impiantare un museo moderno in un edificio monumentale, l’ostacolo principale da superare per la creazione di un circuito di visita unico ritenuto fondamentale per un museo moderno, era creare un percorso senza interruzioni.

Questo primo risultato si ottenne con la realizzazione di solai intermedi tra il secondo e il piano nobile, con il prolungamento in stile dello scalone monumentale fino al secondo piano, con il rifacimento totale delle coperture e la risistemazione dell’intero piano secondo adibito ancora ad alloggio del personale.

Senza entrare nel merito delle scelte di restauro che nel caso della Cappella Reale e dell’alcova di Francesco I, per fare solo degli esempi, pone non pochi interrogativi, i lavori più massicci interessarono quindi il piano secondo sino ad allora lasciato ad alloggio della servitù.

Dal confronto delle planimetrie di progetto e di rilievo dei vari piani emerge chiaramente la regola organizzativa dell’impianto: un unico fluido percorso che partiva dal livello più alto e procedeva attraverso le sale fino al piano terra.

 

Planimetrie museo 1957

 

Un cammino dinamico che procedendo in discesa svelava le opere alla vista del visitatore che non era mai stanco di guardare, anzi la sua attenzione veniva desta dal susseguirsi delle meraviglie che “ad altezza occhi” scrisse la stampa, incontrava lungo la visita.

E tra i quadri d’arte ben si inserivano i ri-quadri di paesaggio, pause visive ritagliate dalle quadrate finestre che a ritmo costante aprono sul Parco.

Ciò che dettava il ritmo della visita senza mai essere affidata al caso era la luce.

L’illuminazione era la vera innovazione: una luce mediata tra fonte naturale e artificiale ma sempre ove possibile zenitale, tutta finalizzata a mettere in mostra le opere, a creare dialogo tra oggetto osservato e osservante.

Ovviamente si trattava di tecnologie all’avanguardia per l’epoca ma che già venti anni dopo risultarono essere superate, ma la questione non è tanto la tecnologia, che per fortuna procede con una velocità sempre maggiore, ma i requisiti di illuminazione di un ambiente museale che furono adottati.

Nel suo testo Luce-Musei De Felice elenca i seguenti requisiti illuminotecnici per gli ambienti:

 

  1. a) sufficiente intensità di illuminazione
  2. b) buona distribuzione degli illuminamenti
  3. c) qualità e colore della luce
  4. d) varietà del flusso luminoso
  5. e) confort visivo
  6. f) semplicità del sistema
  7. g) facile manutenzione del sistema

 

Questi requisiti costituiscono per De Felice i fattori base per una giusta illuminazione museale, principi che a distanza di anni non solo non tramontano ma continuano a indicare la regola compositiva degli allestimenti e Capodimonte nel 1957 in tal senso ha sicuramente fatto scuola.

 

 

 

Tutto fu seguito e diretto in prima persona: Molajoli controllava ogni scelta, a lui spettava ogni decisione finale, De Felice era sempre in cantiere, finì col dormire lì con la moglie in quella che sarebbe poi divenuta la foresteria, e tutto era disegnato ad una scala di esecutivo che non lasciava nulla al caso, Causa e Bologna collaboravano senza sosta al progetto scientifico, e tutti i dipendenti, uomini di ingegno e di cuore come li definì la stampa, si riconoscevano parte di questa squadra.

 

 

Di seguito foto dell’epoca per un tour “virtuale” ne Le cento sale di uno dei più bei musei al mondo.

 

Rispettando il percorso consigliato procederemo dalla Galleria Nazionale posta appunto al secondo piano, con sosta al bar e uno sguardo alla città dal torrino panoramico, per poi procedere attraverso il piano Nobile alla visita del Museo di Arti decorative sul lato est della reggia e alla Galleria dell’Ottocento sul lato ovest, infine pausa alla fontana del belvedere.

 

 

La Galleria Nazionale

 

Siamo negli spazi della Pinacoteca e il tour prende le mosse dalla bellissima sala degli Arazzi della Battaglia di Pavia di manifattura fiamminga. Sembra di essere nella scena di un film, un unico piano sequenza che rapisce il visitatore.

 

 

Proseguendo attraverso gli ambienti caratterizzati da una atmosfera neutra che lascia la “parola” interamente alle opere e dai soffitti diversificati dai tagli dei lucernai atti a filtrare e indirizzare la luce, si incontrano le sale monografiche:

 

la sala di Tiziano impreziosita dal pavimento in marmo africano proveniente da Pompei e dalle pareti in seta e fili d’oro dell’Opificio serico di San Leucio

 

 

la sala di Luca Giordano dall’impianto scenico che simula le quinte delle chiese barocche

 

 

la sala dei fiamminghi ove spicca sulla sua parete di sfondo Brueghel.

 

 

 

 

Si tratta di uno spazio di relax interno al circuito di visita dove il pubblico può gustare il panorama circostante e consumare bevande e snack acquistate al bar sottostante.

 

Procedendo in discesa, mediante il prolungato scalone monumentale, si arriva nel grande vestibolo del primo piano da cui si può già apprezzare la magnificenza delle tele di grande dimensione della così detta sala Camuccini che introduce alla Galleria dell’Ottocento.

 


 

 

 

L’ala est della Reggia era dedicata alle arti decorative, una ricostruzione del gusto e della moda del tempo. L’allestimento ruotava intorno al celebre Salottino di Maria Amalia della Real Fabbrica di Porcellana, magistralmente risistemato insieme con la volta.

  

Salottino di Maria Amalia – Foto di Giuseppe Salviati

 

Nelle attigue stanze furono collocati anche le volte affrescate del Fischetti provenienti da Casacalenda.

 

 

 

 

 

Armeria

 

 

Fontana Belvedere

 

La velocità con cui la società ha iniziato a produrre innovazione ha sorpassato rapidamente questa tappa della trasformazione del palazzo da residenza a museo, prima ancora che divenisse storia in un certo senso.

Tuttavia questa rapidità non ha arrestato nel tempo il processo innescato dall’originaria intuizione: “Fare di Capodimonte la sede di un grande Museo”, ragione per cui oggi non si guarda nostalgici al passato ma con speranza si costruisce il futuro.

 

 

Per comprendere la ricaduta sociale dell’operazione di seguito due articoli di quegli anni: in uno dal titolo Tre famosi musei napoletani nelle cento sale di Capodimonte, Il Tempo 3 maggio 1957, si evince la grande umanità dei protagonisti.

 

 

nell’altro dal titolo “Capodimonte”, La Nuova Stampa del 13 marzo 1958, si evince il valore morale dell’impresa allora contemporanea allo scempio urbano della città.

 

 

 

 

5 Maggio 1957. Nei giardini della Reggia di Capodimonte, parla il sindaco Lauro in occasione dell’inaugurazione alla presenza del capo dello Stato. Istituto Luce

 

 

Le immagini sono tratte dall’Archivio Fotografico Carbone – Napoli e dalla Fondazione De Felice, il video dall’Istituto Luce.

 

Il testo di Rosa Romano è inserito nell’iniziativa “L’Italia chiamò – Capodimonte oggi racconta”

 

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