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Bertozzi & Casoni

“Metamorfosi” di Bertozzi & Casoni

Dal 5 dicembre 2025, primo piano, Appartamento Reale

Ingresso gratuito compreso nel biglietto del museo

Apertura tutti i giorni tranne il mercoledì, le domeniche e i festivi 

Nei giorni feriali dalle ore 8.30 alle 19.30 (ultimo ingresso alle 18.30).

“Metamorfosi” di Bertozzi & Casoni

Le porcellane e la Reggia tra storia, dialoghi e contraddizioni

Inaugurazione mostra 5 dicembre 2025 ore 11,00

Napoli, Museo e Real Bosco di Capodimonte

I piano, Appartamenti Reali

 

Il 5 dicembre 2025 il Museo e Real Bosco di Capodimonte presenta Bertozzi & Casoni. Metamorfosi, a cura di Eike Schmidt e Diego Galizzi.  

La mostra, visitabile fino al 26 aprile 2026, si sviluppa nelle sale degli Appartamenti reali al primo piano del Museo, dal Salottino Pompeiano all’elegante Salone delle Feste.

Protagonisti originali e visionari della scultura contemporanea, Bertozzi & Casoni (Giampaolo Bertozzi, 1957 – Stefano Dal Monte Casoni, 1961–2023) avviarono la loro ricerca artistica ispirati dalla celebre mostra Civiltà del Settecento, realizzata nel 1980 al Museo di Capodimonte.  

A oltre quarant’anni di distanza da quel primo e significativo incontro con le maggiori espressioni dell’arte del Settecento napoletano, tornano a Capodimonte con la mostra Metamorfosi, una selezione di circa venti opere, tra prestiti da collezioni private e inediti realizzati appositamente per Capodimonte, in particolare Rocco (2025) – opera scelta come immagine-guida della mostra e che apre il percorso espositivo, inserita nel suggestivo Salottino pompeiano – e la colorata e strabordante opera Fenicottero degli stracci (2025), rivisitazione in ceramica policroma della nota Venere di Michelangelo Pistoletto.

Il Direttore Eike Schmidt ha dichiarato: ”Celebriamo con questo percorso originalissimo, che ci accompagnerà negli appartamenti reali fino ad aprile, il legame straordinario di Bertozzi & Casoni con il Museo di Capodimonte, alle radici di una attività artistica di livello internazionale ispirata proprio nel 1980 da un viaggio a Napoli di due ragazzi talentuosi e dalla visita alla celebre mostra Civiltà del 700. E forse non poteva essere diversamente perchè i due geniali artisti,  formatisi nella celebre scuola faentina, in oltre 40 anni di lavoro apprezzato in tutto il mondo, hanno compiuto una missione che proprio Napoli con la storia della sua porcellana gli aveva suggerito: riportare la scultura in ceramica al centro della scena artistica contemporanea con la sua dignità e complessità anche tecnica. Napoli e la sua real Fabbrica di Capodimonte, Faenza città della ceramica, si incontrano  quindi felicemente in questa ‘Metamorfosi’, una mostra che stupirà e stimolerà  l’immaginario dei nostri visitatori come solo le vere opere d’arte sanno fare”.

 

Bertozzi & Casoni
Rocco
2025
ceramica policroma e bronzo
Proprietà Bertozzi & Casoni

Bertozzi & Casoni
Fenicottero degli stracci
2025
ceramica policroma
Proprietà Bertozzi & Casoni

 

Il progetto espositivo si sviluppa attorno al tema della metamorfosi, intesa sia come trasfigurazione iconografica dei soggetti, sia come processo intrinseco alla materia che, sottoposta a temperature elevate, attraversa varie fasi di trasformazione, generando esiti affascinanti e spiazzanti.

Il risultato è un iperrealismo esasperato, attraversato da accenti surreali e da una potente vena ironica, come nell’opera Chicco House (2005), allestita al centro del pavimento della Sala della Culla. Qui la casetta giocattolo dai colori vivaci, abitata da scimmiette irrequiete e circondata da resti di cibo e oggetti come il pacchetto di sigarette, crea un cortocircuito visivo, mescolando innocenza infantile e allusioni al mondo adulto.

 

Bertozzi & Casoni
Chicco House
2005
ceramica policroma, tappeto dipinto

 

 

In mostra, le creazioni del duo stabiliscono un articolato dialogo con arredi, oggetti e opere dell’Appartamento Storico, dando vita a sorprendenti accostamenti e offrendo al pubblico l’opportunità di approfondire una riflessione critica sul medium della porcellana contemporanea.

Le traiettorie imprevedibili percorse da Bertozzi & Casoni nell’ambito della loro ricerca, si manifestano in lavori come Sparecchiatura (2025), in Grand Hotel (2025), e Vassoio (2005), colmi di materiali eterogenei, nelle zolle di terra sature di scarti come in Disgrazia con orchidea rosa (2012) e la grande installazione Madonna scheletrita (2008) posta al centro della sala 37.

 

Bertozzi & Casoni
Sparecchiatura
2025
ceramica policroma
Proprietà Bertozzi & Casoni

Bertozzi & Casoni
Grand Hotel  
2025
ceramica policroma

Bertozzi & Casoni
Vassoio
2005
ceramica policroma

 

Bertozzi & Casoni
Disgrazia con orchidea rosa
2012
ceramica policroma

Bertozzi & Casoni
Madonna scheletrita
2008
ceramica policroma e argento

 

Tra le opere esposte, nella sala 34, figura la scenografica installazione La morte dell’Eros (2000-2023), raffigurante un fauno di grandi dimensioni sospeso al soffitto, che evoca la tradizione classica ampiamente rappresentata nelle collezioni storiche del Museo.

 

Bertozzi & Casoni
La morte dell’Eros
2000-2023
ceramica policroma
Proprietà Bertozzi & Casoni

 

Il percorso prosegue al secondo piano con l’opera Grottesca (2013), esposta nella sala 93 accanto a due straordinari esempi della tradizione ceroplastica meridionale: la Testa decollata (seconda metà del XVIII secolo), con capelli naturali e occhi in vetro, e la Figura femminile in decomposizione o Vanitas (ultimo quarto del XVII – inizi XVIII secolo).

 

Bertozzi & Casoni
Grottesca
2013
ceramica policroma

Scuola dell’Italia meridionale “Figura femminile in decomposizione o Vanitas”

Produzione Napoletana, “Testa decollata”

 

All’interno di questo universo visivo caratterizzato da eccesso e accumulo, in cui il dettaglio minuzioso convive con la caoticità del rifiuto, la ceramica si configura come un campo di sperimentazione privilegiato, assottigliando il confine tra preziosità e degrado, ordine e disordine, bellezza e bizzarria.

 

Bertozzi & Casoni
Metamorfoelefante
2023
ceramica policroma

Bertozzi & Casoni
Resurrezione
2014
ceramica policroma

Bertozzi & Casoni
Oracolo
2024
ceramica policroma, bronzo e alluminio

Bertozzi & Casoni
Chimpanzèè
2020
ceramica policroma

Bertozzi & Casoni
Pensieri
2019
ceramica policroma

 

Bertozzi & Casoni
Preghiera
2022
ceramica policroma

Bertozzi & Casoni
Dove come quando
2014
ceramica policroma

 

Bertozzi & Casoni
Quinta Stagione
2020
ceramica policroma

 

La mostra è accompagnata da un catalogo, edito da Silvana Editoriale, di prossima presentazione. Il volume raccoglie, oltre ai saggi dei curatori Eike Schmidt e Diego Galizzi, un’intervista di Luciana Berti all’artista Paolo Bertozzi e a Claudia Pedrini, vedova di Stefano Casoni Dal Monte, un contributo di Maria Laura Chiacchio sull’Appartamento storico e un ricco apparato fotografico con tutte le opere in mostra e le relative installation view.

 

 

Bertozzi & Casoni

Bertozzi & Casoni
Rocco
2025
ceramica policroma e bronzo
Proprietà Bertozzi & Casoni

Bertozzi & Casoni

Fenicottero degli stracci
2025
ceramica policroma
Proprietà Bertozzi & Casoni

Bertozzi & Casoni
Vassoio
2005
ceramica policroma

Bertozzi & Casoni
Preghiera
2022
ceramica policroma

Bertozzi & Casoni
Madonna scheletrita
2008
ceramica policroma e argento

Bertozzi & Casoni
Grand Hotel  
2025
ceramica policroma

Bertozzi & Casoni
Pensieri
2019
ceramica policroma

Bertozzi & Casoni
Chicco House
2005
ceramica policroma, tappeto dipinto

Bertozzi & Casoni
Oracolo
2024
ceramica policroma, bronzo e alluminio

Bertozzi & Casoni
Grottesca
2013
ceramica policroma

Bertozzi & Casoni
Resurrezione
2014
ceramica policroma

Bertozzi & Casoni
Disgrazia con orchidea rosa
2012
ceramica policroma

Bertozzi & Casoni
Chimpanzèè
2020
ceramica policroma

Bertozzi & Casoni
Metamorfoelefante
2023
ceramica policroma

Bertozzi & Casoni
La morte dell’Eros
2000-2023
ceramica policroma
Proprietà Bertozzi & Casoni

Bertozzi & Casoni
Sparecchiatura
2025
ceramica policroma
Proprietà Bertozzi & Casoni

Bertozzi & Casoni
Quinta Stagione
2020
ceramica policroma

Bertozzi & Casoni
Dove come quando
2014
ceramica policroma

Bertozzi & Casoni

date e orari

Dal 5 dicembre 2025

Apertura tutti i giorni (chiuso il mercoledì, le domeniche e i festivi)
Nei giorni feriali dalle ore 8.30 alle 19.30 (ultimo ingresso alle 18.30)

 

sede

Museo e Real Bosco di Capodimonte, via Lucio Amelio 2 – Napoli /
Appartamento Reale, primo piano

biglietti

Ingresso gratuito compreso nel biglietto del museo

info e prenotazioni

Servizio di informazioni del Museo e Real Bosco di Capodimonte.

Tel. 0810106129

Il servizio telefonico non effettua prevendita di biglietti e servizi.

Gli operatori sono a disposizione dal martedì alla domenica, festivi esclusi, dalle 9.00 alle 13.00.

Per informazioni e per l’acquisto dei biglietti segnaliamo il sito https://portale.museiitaliani.it/

Informazioni

mu-cap.accoglienza.capodimonte@cultura.gov.it

per condividere l’esperienza e l’emozione della mostra sui social

Fb museodicapodimonte

Instagram museoboscocapodimonte

Twitter Capodimonte_mus

Biografia

Bertozzi & Casoni è un duo di scultori composto da Giampaolo Bertozzi (Borgo Tossignano, Bologna, 1957) e Stefano Dal Monte Casoni (Lugo di Romagna, Ravenna, 1961 – Imola, Bologna, 2023), attivo dal 1980 a Imola.

Le loro ceramiche policrome uniscono simbologie antiche e riferimenti contemporanei; grazie a composizioni originali e a una notevole capacità mimetica, esplorano i limiti della materia per riflettere sull’effimero e sul transitorio. Rifiuti e scarti si alternano alla grazia e alla potenza di forme vegetali e animali, rinnovando la grande categoria artistica della vanitas.

Tra le occasioni espositive si ricordano: Tate Liverpool (2004), Quadriennale di Roma (2004), Sperone Westwater, New York (2005, 2010, 2015), Ca’ Pesaro, Venezia (2007), Castello Sforzesco, Milano (2008), Biennale di Venezia (2009, 2011), All Visual Arts, Londra (2012), Museum Beelden aan Zee, l’Aia e Beck & Eggeling, Düsseldorf (2013), Palazzo Te, Mantova (2014), Mambo, Bologna (2015), GAM, Palermo (2016), Museo di Palazzo Poggi, Bologna (2017), Rossi & Rossi Gallery, Hong Kong (2018), Museo Morandi, Bologna (2019), Complesso di Sant’Agostino, Pietrasanta (2020), MART di Trento e Rovereto (2022), Imola Musei (2023), Labirinto della Masone, Fontanellato (2024).

Capodimonte 1980, dove nacque lo stupore.

Dialogo a più voci con Giampaolo Bertozzi e Claudia Pedrini Dal Monte Casoni

A cura di Luciana Berti

Chi eravate in quel momento della vostra vita e cosa vi spinse, nell’estate del 1980, segnata dalla strage di Bologna, a partire per Napoli?  

Paolo: In quegli anni frequentavo l’Accademia di Belle Arti di Bologna, ma avevo già iniziato a lavorare nel piccolo laboratorio di ceramica che avevo fondato nel 1977/’78 a Borgo Tossignano, mio paese natale vicino ad Imola, dopo aver conseguito il diploma di magistero artistico all’Istituto d’arte di Faenza. Il laboratorio si chiamava Artedelgiànato (giocando sulla parola Artigianato) perché pensavo che l’arte avesse necessità di una struttura tecnica artigianale per dare forma alle idee; se pensiamo all’arte come ad un corpo, la parte tecnica ne è lo scheletro. E incominciamo qui io e Stefano una fitta frequentazione in cui mettiamo le basi per un progetto comune: fare gli artisti. Lavoravamo in tutti i momenti liberi sperimentando con l’argilla forme libere da ogni vincolo sia estetico che concettuale. Erano piccole figure dipinte con tre colori: il verde, il rosso e il blu. Questo esercizio, quasi un mantra per noi, va avanti per circa un anno, fino a quando nel 1980 i critici Franco Solmi e Marilena Pasquali riuniscono un piccolo gruppo di giovani artisti sotto il nome di “Nuova ceramica”. Da qui incomincia un lavoro artistico più strutturato, nascono in questi anni le prime opere con avanzi di colazioni intitolate Minimi avanzi, Foglie frutta fruttiera, Stefano sperimenta sezioni di fiori. Ed io, pur essendo arrivato al quarto anno d’Accademia, decisi di non portare a termine gli studi, essendo ormai convinto del percorso scelto: fare l’artista.  

Claudia: Il 1980 fu un anno importante, Stefano aveva 19 anni appena compiuti, quattro anni in meno di Paolo. Partimmo subito dopo la strage di Bologna (1), era agosto, quindi prima del terremoto dell’Irpinia (2) avvenuto nel novembre delle stesso anno. Ma il nostro viaggio, stretto tra questi due episodi tragici, fu spensierato, come può esserlo un viaggio estivo intrapreso da ventenni. Ci spostammo da Bologna a Napoli facendo l’autostop, di nascosto dai genitori. Eravamo sei giovani: io stavo per conseguire la laurea in storia dell’arte, Paolo e Stefano, entrambi legavano la loro formazione all’Istituto per la ceramica di Faenza e all’Accademia di Belle Arti di Bologna, così come Mannes attualmente grafico ed insegnante, Alessandro studiava medicina ma è poi diventato critico teatrale e di cinema, Gianluigi studiava agraria e tutt’ora gestisce le terre di famiglia.  

Come mai avevate scelto proprio Napoli come destinazione?

Claudia: Era estate, eravamo partiti con l’idea di fare una vacanza in una città del sud ma fummo anche attirati dalla mostra Civiltà del Settecento a Napoli (3), avendo visitato le mostre dedicate allo stesso secolo, realizzate nell’autunno del 1979 tra Bologna, Parma e Faenza (4). La mostra napoletana ci permetteva di replicare quell’esperienza di conoscenza che ci aveva affascinato. Durante quel viaggio io intuì che Stefano poteva diventare il mio compagno nella vita. Lui aveva quattro anni meno di me, e in quel momento della vita quattro anni non sono pochi. Era un ragazzo particolare, un po’ fuori dagli schemi, e mi resi conto che era un bel mix: originale, diverso, a tratti anche strano, ma affidabile, uno che sapeva manteneva sempre gli impegni. Aveva una sua disciplina, un metodo che si affiancava alla parte più creativa e imprevedibile. Mi resi conto che con lui ci si poteva divertire, ma ci si poteva anche fidare.  

La collaborazione tra Stefano e Paolo iniziò proprio quell’estate?

Paolo: La collaborazione era già iniziata, come dicevo, ma in quell’anno prese la sua forma più compiuta: fondammo la società Bertozzi & Casoni e acquistammo il capannone, dove è ancora oggi il laboratorio, seguendone attivamente i lavori. Dal punto di vista del clima artistico, in quegli anni a Bologna e a Faenza eravamo immersi in una cultura di tipo concettuale rivolta alla sparizione dell’arte che non ci convinceva, ci sembrava poco affascinante. Ci interessava il ritorno all’opera, ai colori e alle forme. E questa è stata anche la grande ricchezza visiva e culturale (eravamo affascinati dai grandi temi eterni propri del mondo antico, dal tema del mito) che abbiamo appreso durante quel viaggio a Napoli. Tutto quello che abbiamo visto è stato profondamente stimolante, ha costituito per noi riferimenti che hanno accompagnato la nostra ricerca per decenni. Un’esperienza che si è concretizzata, per esempio, nell’opera con il fauno (Morte dell’eros).    

Come siete giunti a scegliere la ceramica e la porcellana come linguaggi privilegiati?

Paolo: La ceramica incarnava pienamente la nostra concezione di scultura, e più in generale di arte, assumendo per noi la forma di una vera e propria scultura-pittura. Per noi l’arte è sempre qualcosa “vestita di colore”: quale tecnica poteva quindi essere più adatta? Non credo esista altro materiale in grado di offrire una libertà espressiva così totale. Il Settecento ha fortemente orientato la nostra ricerca. Un esempio è l’opera con cui vincemmo il 38° Concorso internazionale della ceramica d’arte di Faenza (5): una vetrina con figurine in maiolica, eteree, con personaggi bizzarri e caratteristici. Di quell’epoca ci affascinava la libertà, il piglio giocoso, aspetti che si riscontrano soprattutto nella decorazione, che ha radici più antiche ma che trionfa proprio in questo secolo. Pur essendo sempre molto curiosi, attenti e informati delle espressioni artistiche in quegli anni a noi contemporanee, per me e Stefano la ricchezza e l’abbondanza della decorazione divenne un tema centrale, in opposizione all’esaltazione del vuoto che caratterizzava l’arte concettuale. Noi quel vuoto volevamo riempirlo. La ceramica, poi, ha qualcosa di magico: quando la si dipinge è come dipingere senza colori, perché i colori non li si vede (non a caso la ceramica è chiamata anche l’arte cieca) e si definiscono solo dopo la cottura in forno e questo crea aspettativa e stupore in quello che si fa. Pertanto, in un clima prevalentemente concettuale, abbiamo cercato di resistere all’indifferenza del mondo dell’arte verso questo materiale. Gli stessi critici non hanno compreso per molti decenni quale fosse la potenzialità della ceramica.

Claudia: La ceramica, come evidenziano le parole di Paolo, è un materiale particolare, certamente meno solenne dei materiali propri della “grande” scultura, ma possiede una sua forza ed ha molte potenzialità: è suadente, godibile, ingannevole, con una capacità mimetica quasi paragonabile alla cera e per questo inquietante, apparentemente facile e immediata dal punto di vista tecnico e in realtà assai complessa…  Citando la mostra alla Tate di Liverpool del 2004 (6), la ceramica è giocosa e democratica, trasversale, diversa nelle sue manifestazioni e quindi difficile da sistematizzare e proprio per questa sua natura sfuggente la critica per molti anni non l’ha affrontata con serietà consegnandola ad uno status di non-arte. Probabilmente Paolo e Stefano l’hanno “scoperta” per la prossimità geografica tra Imola e Faenza, ma di certo le caratteristiche di questo materiale si confacevano perfettamente al loro universo creativo. Inoltre la marginalità della ceramica permetteva di frequentare luoghi periferici dell’arte consentendo di fare scelte originali. E forse, a distanza di anni, si può dire che hanno contribuito a portarla fuori dal ghetto della non-arte.  

Quali sono i motivi alla base della ricerca di Bertozzi & Casoni?

Claudia: Ho da poco ritrovato un testo davvero precoce di Stefano, la tesi di fine corso all’Istituto d’Arte di Faenza del 1979/’80 dal titolo Strutture effimere. Lavoro di tesi scritta per scherzo in 30 copie. Il testo, spesso tenuto sul registro del gioco e dell’ironia se pur acuto e profondo, accompagnava le opere prodotte in quell’occasione: pezzi leggerissimi, in porcellana bianca, di ascendenza rococò, dotate di freschezza, spettacolarità, eleganza e incanto, sintomo di una perizia delle mani oltreché dell’intelletto. La tesi affrontava il tema della noia, nella vita e nell’arte, e di come sfuggirle. Stefano riteneva potesse essere contrastata nell’arte grazie al virtuosismo, all’eccedenza, allo stupore, perché lo stupore è l’esatto opposto della noia. Si tratta di creare oggetti sorprendenti, anche pericolosamente ruffiani, ma che provocano forti sollecitazioni emotive, sentimenti di meraviglia ma anche di sgomento e angoscia e che in qualche trasparenza, in qualche particolare suggeriscono altro. Fanno vedere ciò che non è palese ma c’è, “come uno squarcio anatomico in un sorriso”. Nel testo di Stefano c’è tutta l’irruenza giovanile ma si riconoscono motivi come la meraviglia, lo stupore – vera parola chiave nel loro lavoro -, l’inganno che rimarranno centrali in tutta la ricerca artistica di Bertozzi&Casoni fino alle più recenti opere.

Paolo: Devo aggiungere che accanto alle riflessioni teoriche e tecniche di Stefano, c’è nella nostra ricerca anche una radice sociale che deriva dal mio contributo personale. La mia tesi di fine corso a Faenza si intitolava Similitudine: un piccolo scritto in cui mi ponevo nei panni di Charlie Chaplin per condurre una riflessione sull’omologazione, tema che pure attraversa la nostra ricerca.

Claudia: Come è chiaro, Paolo e Stefano erano due personalità molto diverse ma complementari, uno, l’artista interessato a combattere l’omologazione, l’altro, l’artista più scanzonato, impegnato a combattere la noia.  

Quali incontri hanno ridefinito il vostro linguaggio all’inizio degli anni Duemila?

Paolo: Negli anni Duemila cercavamo di entrare nel mondo dell’arte contemporanea e provammo a metterci in contatto con il gallerista Gian Enzo Sperone. L’occasione arrivò quando realizzammo in ceramica un’opera derivata da un dipinto di Jan Knap, su proposta della Galleria Carini. Sperone l’acquistò e volle incontrarci di persona. Questa fu l’occasione per chiedergli di darci una chance e di organizzare una mostra personale. In un anno portammo avanti un lavoro intenso, tra cui l’opera Scegli il Paradiso, una grande zolla idealmente proveniente dal Paradiso su cui la Madonna è intenta a tagliare un prato di tulipani. Lavorammo parallelamente su altre opere, come gli accumuli di ossa e di stoviglie e queste parvero a Sperone particolarmente adatte al mercato dell’arte. La mostra si tenne alla Galleria 1.000 Eventi di Milano (7). Maturammo in quegli anni la decisione di cambiare le tecniche fino ad allora usate, includendo nuovi materiali di derivazione industriale, come la fotoceramica, per ottenere risultati formali più interessanti. Abbandonammo quasi del tutto il pennello e la maiolica perché avevamo bisogno di maggiore oggettività, volevamo raffreddare il segno affinché il lavoro fosse riconosciuto come Bertozzi & Casoni, come marchio. Fin dalla nascita del marchio, nel 1980, desideravamo che le differenze individuali non fossero immediatamente percepibili e che la mano singola non emergesse. È stato un passaggio fondamentale, frutto di una scelta concettuale per costruire uno stile oggettivo e riconoscibile, una poetica condivisa che ci permette, ancora oggi, di proseguire come Bertozzi & Casoni, anche dopo la scomparsa di Stefano.

La morte di Eros è stata l’ultima opera alla quale Stefano aveva lavorato?

Paolo: È un’opera che ha avuto una lunga genesi: ne abbiamo discusso profusamente e le sue radici risalgono a quella visita al Museo di Capodimonte e ad altri siti napoletani nell’estate del 1980. Successivamente, le nostre ricerche su questo tema si sono sviluppate in molte direzioni; ricordo, per esempio, le fotografie scattate nella Galleria di Bacco al Palazzo Ducale di Sassuolo. Spesso come artisti “incontriamo” riferimenti o idee che poi abbandoniamo per decenni, finché non arriva il momento giusto. In questo caso è stato così: l’opera è stata completata alla fine del 2023, ma era di fatto già pienamente concepita e compiuta. Stefano ci aveva già lavorato a lungo prima di lasciarci, realizzando il modello in gesso; io non ho fatto altro che trasferirla in materiali ceramici. Ho poi inserito alcune aggiunte e trovato una soluzione tecnica per riprodurre il pelo del fauno, per esempio, utilizzando la stoppa. Su questo particolare avevamo fatto tantissimi esperimenti e il risultato, infine, è arrivato da solo. L’elaborazione dell’opera è stata complessa e accompagnata da intense discussioni che spesso ci portavano a lasciarla incompiuta, fino a quando l’occasione della mostra a Imola8 ha permesso finalmente il suo completamento. Sì, ci abbiamo impiegato quasi un quarto di secolo: nell’arte può accadere! Credo che La morte dell’Eros sia oggi un’opera matura, nonostante fosse iniziata sotto l’impulso delle fascinazioni giovanili per questo soggetto.

Claudia: Ho sollecitato Paolo a completare questo lavoro anche se Stefano, nel frattempo non c’era più. La sua scomparsa è stata per tutti noi – per me, come per Paolo – una cesura, un momento di grande sofferenza. Al di là del portato sentimentale, mi è sempre sembrata un’opera valida, concettualmente e formalmente, nonostante fosse stata concepita tanto tempo fa e costituiva anche un tema non consueto nelle loro produzioni. Non poteva rimanere incompiuta. Negli anni, il fauno aveva rappresentato una presenza dormiente alla quale Stefano dedicava pensieri, ricerche, raccogliendo materiale fotografico e immagini pittoriche affini. Ora la vediamo finalmente realizzata e non ritengo sia un’opera divisiva, ma ha sicuramente un forte impatto. Posso testimoniare che, accompagnando visitatori, colleghi e amici alla mostra di Imola, arrivati alla sala del fauno, tutti si ammutolivano e, dopo aver osservato l’opera, riprendevano a parlare a bassa voce, come fosse una sorta di rispetto dovuto. Sicuramente è un’opera coinvolgente, anche disturbante, è capace di scuotere lo spettatore, come ogni autentica opera d’arte sa fare.

In che modo il contesto storico dell’Appartamento Reale di Capodimonte influenza le vostre opere?

Paolo: Avendo tratto dal viaggio a Napoli numerosi riferimenti e suggestioni, creando un vero e proprio humus dedicato all’idea di stupore, credo che le nostre opere si integreranno naturalmente nel contesto dell’Appartamento Reale, si troveranno a loro agio. Per Stefano sarebbe stata una grande gioia esporre a Capodimonte, e io la vivo in questo modo, nel segno del suo ricordo.  

Claudia: Non è la prima volta che le opere di Bertozzi & Casoni vengono esposte in contesti storici, e mi sembra che in questi luoghi si inseriscano con naturalezza, agendo armoniosamente per accumulo e sovrapposizione, al contrario di quanto accade nel white cube di una galleria, dove pure hanno spesso esposto, dove agiscono per contrasto. Credo che la caratteristica più evidente sia il fatto di poterle considerare opere “aperte” (9), con più livelli di lettura, aspetto sottolineato anche nei titoli delle loro mostre e opere nei quali è ricorrente l’avverbio «forse». Sono lavori che insinuano il dubbio, si propongono in maniera ironica e destabilizzante, presentando accostamenti sorprendenti. In questo senso le opere sono permeabili e possono accogliere suggestioni, trovare sorellanze con opere di altri secoli o di altri contesti.

A proposito dei titoli, in che modo contribuiscono ad aprire più livelli di lettura?  

Claudia: I titoli hanno un ruolo centrale. Spesso sono allusivi, ironici o ambigui, ricordo, per esempio, il titolo Le bugie dell’arte della mostra tenutasi a Ca’ Pesaro a Venezia nel 2007. Servono a preparare lo spettatore a un percorso di lettura su più livelli, non danno risposte, ma insinuano dubbi, aprono finestre di interpretazione, permettendo uno sguardo obliquo, uno sguardo libero e personale.

Paolo: Attraverso i titoli e l’uso dell’ironia desideriamo che l’opera non sia mai completamente visibile e comprensibile al primo sguardo, ma che si riveli osservata da più angolazioni. L’ambiguità è uno strumento per moltiplicare le possibilità di lettura, suggerire la complessità delle cose e coinvolgere lo spettatore nella scoperta, nel piacere della sorpresa, nello stupore. È proprio la libertà al centro della nostra poetica, la libertà della creazione e quella dell’interpretazione.

1 Alle 10.25 di sabato 2 agosto 1980, un potente ordigno esplose nella sala d’aspetto di seconda classe della stazione di Bologna, causando il crollo della struttura soprastante e di trenta metri della pensilina, oltre a danneggiare due carrozze di un treno in sosta. A causa dell’affollamento della stazione in quel giorno prefestivo, l’esplosione provocò 85 vittime e oltre 200 feriti.

2 Il terremoto dell’Irpinia del 23 novembre 1980, di magnitudo 6,9, provocò circa 2.900 morti, migliaia di feriti e gravi danni a numerosi comuni della Campania e della Basilicata. Tra le conseguenze vi furono anche danni al patrimonio culturale: su impulso del Ministero dei Beni culturali, fu avviata una campagna di mappatura alla quale contribuì la Soprintendenza di Napoli, allora guidata da Raffaello Causa, per il ricovero delle opere, alcune delle quali furono trasferite al Museo di Capodimonte, dove sono tutt’ora esposte.

3 La mostra Civiltà del Settecento a Napoli si svolse a Capodimonte dal dicembre 1979 all’ottobre 1980. Attraverso un ricco apparato espositivo che coinvolgeva storia, sociologia, urbanistica e arti decorative, l’esposizione documentava l’evoluzione politica, sociale ed estetica di Napoli nel Settecento illuminista. Il percorso raccontava il regno dei Borbone, l’influenza della corte, l’ascesa delle manifatture di porcellana, il teatro, gli arredi raffinati e la vita quotidiana, offrendo al pubblico una visione complessa della città come grande capitale europea. Cfr. Civiltà del ’700 a Napoli, 1734-1799, catalogo della mostra (Napoli, dicembre 1979–ottobre 1980), Museo e Gallerie Nazionali di Capodimonte et al., Firenze, Centro Di, 1979, 2 voll.

4 Tra il 1978 e il 1979, Bologna, Parma e Faenza ospitarono la grande esposizione “Arte del Settecento emiliano”, inserita nella X Biennale d’Arte Antica. La mostra ricostruiva il panorama artistico e culturale dell’Emilia nel Settecento, mettendo in rilievo l’influenza dei Farnese e dei Borbone, l’Accademia Clementina, le manifatture locali, il teatro, gli arredi e la vita quotidiana, restituendo al pubblico un’immagine vivace e articolata della regione come polo culturale europeo. A Bologna, tra le sedi coinvolte — i palazzi Re Enzo e del Podestà, il Museo civico archeologico e il Palazzo Pepoli Campogrande — si tenne anche un Congresso mondiale di Storia dell’Arte, con la partecipazione di studiosi come André Chastel, Francis Haskell e Giulio Carlo Argan, e si chiuse con la relazione di Cesare Brandi sul restauro del portale di San Petronio curato da Cesare Gnudi e sulla figura di Giorgio Morandi. Cfr. L’arte del Settecento in Emilia e in Romagna, catalogo della mostra (Bologna, Faenza, Parma, 1978-1979), Bologna, Alfa, 1979-1980, 5 voll.

5 Il 38° Concorso internazionale della ceramica d’arte si svolse a Faenza dal 27 luglio al 5 ottobre 1980, promosso dal Comune di Faenza. La rassegna presentò opere di artisti nazionali e internazionali, evidenziando le tendenze emergenti e l’innovazione nella ceramica contemporanea.

6 La mostra A Secret History of Clay: From Gauguin to Gormleysi tenne al Tate Liverpool dal 28 maggio al 30 agosto 2004. La rassegna, a cui la Bertozzi&Casoni fu invitata, evidenziava la versatilità e la potenza espressiva dell’argilla, materiale sovversivo, inesauribile, economico e terreno. Il percorso espositivo partiva dalle ceramiche domestiche di Gauguin e si sviluppava fino a installazioni su larga scala come Field di Antony Gormley, mostrando il dialogo tra funzionalità e valore estetico, intimità e spazio pubblico.

7 La mostra, intitolata Scegli il paradiso, si tenne nel 1998 presso la Galleria 1000eventi di Giuseppe Pero a Milano. In luogo di un catalogo tradizionale fu realizzato un articolato progetto editoriale, raccolto in un cofanetto comprendente tre volumi: il primo dedicato alle opere esposte; il secondo costituito da una biografia illustrata; il terzo configurato come diario di lavoro, dal titolo Innovazione di processo, innovazione di prodotto, con testi di Roberto Daolio, Eduardo Alamaro e Loredana Parmesani. L’intero progetto fu sviluppato con il supporto e la supervisione di Gian Enzo Sperone.

8 Bertozzi & Casoni. Tranche de vie, a cura di Diego Galizzi, Museo di San Domenico, Palazzo Tozzoni, Rocca Sforzesca, Imola, 28 ottobre 2023 – 18 febbraio 2024.

9 Il concetto dell’opera aperta fu introdotto da Umberto Eco nel suo libro estremamente influente Opera aperta. Forma e indeterminazione nelle poetiche contemporanee (1962). All’Università di Bologna. Eco era cofondatore del DAMS nel 1971, e dal 1975 professore ordinario di semiotica.

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