Il patriarca bronzeo dei Caravaggeschi: Battistello Caracciolo (1578-1635)
9 giugno – 2 ottobre 2022 (Prorogata fino al 1 novembre 2022)
Sala Causa – tutti i giorni (mercoledì giorno di chiusura), dalle ore 10.00 alle ore 17.30 (ultimo ingresso ore 17.00)
a cura di Stefano Causa e Patrizia Piscitello
Il Museo e Real Bosco di Capodimonte presenta in sala Causa la grande mostra monografica su Battistello Caracciolo, artista (Napoli, 1578-1635) che più di altri ha incarnato gli insegnamenti di Caravaggio, al punto da ottenere la definizione di “patriarca bronzeo dei Caravaggeschi” dallo storico dell’arte e critico Roberto Longhi. L’esposizione, a cura di Stefano Causa e Patrizia Piscitello, nasce dall’idea di Sylvain Bellenger, direttore del Museo e Real Bosco di Capodimonte, con la collaborazione istituzionale di Mario Epifani, direttore del Palazzo Reale di Napoli e di Marta Ragozzino, direttrice regionale Musei Campania. In queste altre due sedi sono presenti opere di Battistello in un percorso espositivo legato alla mostra di Capodimonte, anche attraverso una bigliettazione congiunta per tutta la durata della mostra.
In sala Causa al Museo e Real Bosco di Capodimonte sono allestite quasi 80 opere molte delle quali provenienti da istituzioni pubbliche, italiane ed estere, enti ecclesiastici e privati collezionisti. Al Palazzo Reale sarà possibile visitare la sala del Gran Capitano affrescata da Battistello Caracciolo mentre alla Certosa e al Museo di San Martino il percorso di mostra si snoda tra le cappelle dell’Assunta, di San Gennaro, di San Martino e nel Coro della Chiesa, oltre che nelle sale dedicate a Battistello nella galleria del Quarto del Priore.
La mostra di Battistello Caracciolo fa parte del programma di esposizioni che porta avanti il Museo e Real Bosco di Capodimonte su artisti napoletani e non napoletani che hanno avuto una stretta relazione con Napoli, anche se fugace, come nel caso di Picasso e, più recentemente, Jan Fabre o Santiago Calatrava, e che hanno visto il loro lavoro influenzato, spinto a esprimere qualcosa di diverso o a volte a prendere un nuovo corso, dall’esperienza napoletana. Dopo Luca Giordano, Vincenzo Gemito, Salvatore Emblema e ora Battistello Caracciolo, queste mostre monografiche sono spesso le prime in assoluto ad essere realizzate su questi artisti e contribuiscono ad una migliore individuazione, se non della Scuola, almeno del milieu napoletano, un milieu complesso che non può essere compreso solo da mostre strettamente filologiche che spesso occultano la complessità di una metropoli aperta al mondo come Napoli: gli scambi e l’unicità delle scienze umane nel senso più ampio del termine, sono qui più rilevanti della storia tradizionale e delle limitate mostre “scientifiche”. Ogni mostra è influenzata da quelle che l’hanno preceduta per ciò che ci ha insegnato il suo soggetto, ma anche sull’arte di esporre, di raccontare e sulla ricettività del pubblico. In questo caso la mostra Oltre Caravaggio. Un nuovo racconto della pittura a Napoli, a cura di Stefano Causa e Patrizia Piscitello, inaugurata lo scorso 31 marzo, ha influenzato anche la mostra su Battistello Caracciolo, suggerendo l’introduzione di elementi di confronto con la scultura o con opere pittoriche di diversa sensibilità, apparentemente opposte alla figura di Caracciolo, scuotendo generi e materiali, senza cadere nel concetto di mostra di Civiltà, ha permesso di comprendere meglio la peculiarità di questo pittore, di cambiare prospettive e di dare nuove letture al ricco e poliglotta dialogo artistico nel potente Viceregno spagnolo, sempre scosso dall’arrivo di nuovi talenti provenienti da Firenze, dalla Spagna o da Roma, come Caravaggio, artisti quali Ribera, Lanfranco, Pietro Bernini o Michelangelo Naccherino e le loro opere presenti in mostra, rendono l’allestimento una festa visiva più rilevante e più ricca, dove il visitatore è un complice invitato a interagire
Nato a Napoli nel 1578, dove muore nel 1635, Giovan Battista Caracciolo detto Battistello è il primo e il maggiore dei pittori caravaggeschi meridionali.
Il pittore fu riscoperto con un articolo del 1915 in due puntate sulla rivista l’Arte dal giovane Roberto Longhi (1890-1970). Lo scrittore e storico d’arte di origine piemontese non rinnegherà mai la passione per il pittore, di cui riuscì a procurarsi, per la propria raccolta di quadri caravaggeschi, un’opera come il potente Seppellimento di Cristo – esposta in mostra (Firenze, Fondazione Longhi).
Se Battistello fu quanto di più simile ad un allievo il Caravaggio (1571 – 1610) avesse avuto, bisogna riconoscere che fu un caravaggesco molto infedele. A differenza del maestro, egli disegna, affresca e incide. Alcuni dei lavori più impegnativi dell’ultimo tempo del Caracciolo, negli anni 1630, sono tra i capolavori della pittura murale in Italia meridionale. Battistello, di fatto, si forma come frescante tra la fine del ‘5oo e i primi del ‘6oo e, come pittore ad affresco, conclude, con l’aiuto di una bottega, il suo percorso in alcune delle maggiori chiese della città.
L’esposizione nella sala Causa del Museo e Real Bosco di Capodimonte comprende circa 80 opere in dialogo tra loro tra quelle già presenti nel museo e le altre giunte qui grazie a importanti prestiti di collezioni pubbliche, nazionali ed estere, collezioni ecclesiastiche e collezionisti privati.
Tra gli enti pubblici prestatori si ringraziano il Musée Cantonal des Beaux Arts di Losanna in Svizzera, la Cathedral Museum di Mdina a Malta, il Kunsthistorisches Museum di Vienna, il National Museum di Stoccolma, l’Università di Torino, la Soprintendenza ABAP per la città metropolitana di Torino, la Galleria Nazionale delle Marche – Palazzo Ducale di Urbino, le Gallerie Nazionali di Arte Antica – Palazzo Barberini e Galleria Corsini di Roma, la Galleria Borghese di Roma, il Museo di Palazzo Pretorio di Prato, la Galleria Regionale della Sicilia – Palazzo Abatellis di Palermo, la Pinacoteca di Brera di Milano, la Soprintendenza ABAP per le province di Cremona, Lodi e Mantova, la Soprintendenza ABAP della città metropolitana di Firenze e delle provincie di Prato e Pistoia, i Musei del Bargello di Firenze e la Galleria degli Uffizi di Firenze, la Soprintendenza ABAP per la città metropolitana di Reggio Calabria e la provincia di Vibo Valentia, la Soprintendenza ABAP del Molise, il Ministero degli Interni – Fondo Edifici di Culto e le istituzioni campane come la Biblioteca e Complesso monumentale dei Girolamini a Napoli, il Pio Monte della Misericordia a Napoli, la Direzione regionale Musei Campania e la Certosa e Museo di San Martino a Napoli, la Soprintendenza ABAP del comune di Napoli e la Soprintendenza ABAP della città metropolitana di Napoli, la Soprintendenza ABAP di Salerno e Avellino, il Museo Civico Gaetano Filangieri di Napoli, il Museo Correale Terranova di Sorrento. Importante l’apporto della Fondazione Giuseppe e Margaret De Vito per la storia dell’arte moderna a Napoli di Vaglia (Firenze), della Fondazione di Studi di Storia dell’Arte Roberto Longhi di Firenze e della Collezione Michele Gargiulo. Fondamentali per la mostra i prestiti provenienti dagli enti ecclesiastici: la Collegiata di S. Maria di Ognissanti a Stilo (Reggio Calabria), la chiesa della Natività della Beata Maria Vergine Roccadaspide (Salerno), il Museo Diocesano di Cremona, la Chiesa di San Michele Arcangelo di Baranello (Campobasso), la Cattedrale di Santa Maria Assunta al Duomo di Napoli, la Deputazione della Real Cappella del Tesoro di San Gennaro nel Duomo, la Cappella del Tesoro di San Gennaro, la Curia Arcivescovile di Napoli, la Chiesa di Santa Maria di Costantinopoli, la Chiesa Santa Maria Incoronatella della Pietà dei Turchini, la Chiesa del Gesù Vecchio, la Chiesa di Santa Maria della Stella, proprietà Ministero dell’Interno – Fondo Edifici di Culto, la Augustissima Arciconfraternita ed Ospedali della SS. Trinità dei Pellegrini e Convalescenti, la Basilica dell’Incoronata Madre del Buon Consiglio. Si ringraziano il Nucleo Carabinieri Tutela Patrimonio Culturale di Napoli e tutti i collezionisti privati.
Ora fra coloro che allettati rimasero da sì nuova maniera è [di Caravaggio], uno fu il nostro Caracciolo, ed a tal segno se ne compiacque che, lasciate in abbandono tutte quelle da lui per l’innanzi seguitate maniere, a questa tutto si volse ed assolutamente si propose di seguitare…
De Dominici (1742-1745)
Un percorso articolato per comprendere come e quanto Battistello Caracciolo sia stato influenzato da Caravaggio, come si intuisce nelle parole del De Dominici ma anche per studiare in cosa se ne discostò.
Battistello Caracciolo, infatti, è un caravaggesco in controtendenza: lo dimostrano i suoi disegni, così nitidi e veloci, strettamente correlati all’esecuzione di un dipinto. Com’è noto il modus operandi di Michelangelo Merisi da Caravaggio, per come lo conosciamo attraverso le fonti e le opere a noi pervenute, trascurava l’esercizio grafico preliminare alla realizzazione pittorica.
Di fondamentale importanza per la comprensione del ruolo del disegno nell’opera di Battistello è stato il riconoscimento della sua mano in diversi disegni conservati presso il National Museum di Stoccolma. I fogli, alcuni dei quali qui esposti, furono portati in Svezia alla fine del Seicento dall’architetto Nicodemus Tessin il Giovane, di ritorno dai suoi viaggi in Italia.
E ancora una volta ci sorreggono nella comprensione dell’artista le parole di De Dominici:
Fu però molto studioso nelle nostre arti e d’un pensiere facea più disegni, e quello che poi eligeva, lo rivedeva con disegni fatti sul vero da figura a figura, disegnando perlopiù con lapis piombino o con penna.
Il progetto di allestimento della mostra al Museo e Real Bosco di Capodimonte è curato da COR arquitectos (Roberto Cremascoli, Edison Okumura, Marta Rodrigues) & Flavia Chiavaroli che avevano già curato l’installazione della mostra Caravaggio Napoli nel 2018.
Se per Caravaggio fu la notte, per Caracciolo è l’incarnato bronzeo dei suoi Cristi, delle sue Madonne, il corpo di Sant’Onofrio, l’unicità ed il grande stacco del maestro, firma unica ed incontrovertibile come il suo monogramma. Le pareti si vestono della stessa tonalità bronzea, la stessa irregolarità, la stessa materica verità. I progettisti hanno interpretato l’input dei curatori “Volevamo un Battistello centrifugo e non disorientante”, realizzando una sequenza di spazi che permette giochi di sguardi, confronti tra movimenti e contro-movimenti, presenze forti come le sculture marmoree degli apostoli che inquadrano la grande pala Madonna con Bambino e Santi proveniente dalla Cattedrale di Stilo. Dagli inizi, sino alla maturità della sua produzione artistica, si trova in ogni sala un confronto tematico e stilistico, disegnato con dovizia dai curatori, con i grandi maestri coevi: da Francesco Curia a Jusepe Ribera sino a Pietro Bernini. All’ingresso, grazie anche all’interazione con l’installazione multimediale curata da Stefano Gargiulo, un’austera finestra, che rimanda alla facciata della Cappella del Monte di Pietà a Napoli, ci lascia intravedere dietro la sua cornice lapidea e la sua severa inferriata presenze importanti come quella di Fabrizio Pignatelli, scultura per il suo monumento funebre proveniente dalla Chiesa di Santa Maria Mater Domini di Napoli. Un’analoga apertura ci anticipa, più in là nel percorso, uno sguardo verso le ultime due sale, verso i bozzetti di Battistello, materia prima e primordiale del pittore, ed il suo ultimo scambio dialogico, in chiusura, con Mattia Preti.
Il percorso di mostra inizia con un’installazione site specific realizzata da Kaos Produzioni con la direzione artistica di Stefano Gargiulo e l’elaborazione musicale di Bruno Troisi, in cui le immagini e i suoni introducono il visitatore nei mondi di luce e ombre del naturalismo di Battistello. Le differenze tecniche e cromatiche dei suoi lavori trasformano i lividi colori metallici delle tele a olio in grandi ricami colorati negli affreschi rendendo palese come l’alternanza tra ombra e luce è condizione imprescindibile non solo per l’artista ma per la stessa vita. La profondità dell’ombra necessita della luce per essere riconosciuta, al contempo la luce semplifica, chiarisce e rassicura ma senza il buio dell’ombra l’uomo sarebbe ancora nel noioso paradiso terrestre.
date e orari
Museo e Real Bosco di Capodimonte, via Miano 2 – Napoli
Sala Causa – tutti i giorni (mercoledì giorno di chiusura), dalle ore 10.00 alle ore 17.30 (ultimo ingresso ore 17.00)
Palazzo Reale di Napoli, piazza Plebiscito 1 – Napoli
Sala del Gran Capitano – tutti i giorni (mercoledì giorno di chiusura), dalle ore 9.00 alle ore 20.00 (ultimo ingresso ore 19.00).
palazzorealedinapoli.org / 081 580 8255 / pal-na@beniculturali.it
Certosa e Museo di San Martino, Largo San Martino, 5 – Napoli
Chiesa e Quarto del Priore* tutti i giorni (mercoledì giorno di chiusura), dalle ore 8.30 alle ore 19.00 (ultimo ingresso ore 18.00). Il Quarto del Priore è visitabile dalle 9.30.
museicampania.cultura.gov.it /+39 0812294503 / drm-cam.sanmartino@beniculturali.it
biglietti
Biglietto mostra: 20 euro cumulativo per Museo e Real Bosco di Capodimonte, Palazzo Reale e Certosa e Museo di San Martino, valido per un ingresso in ogni sito espositivo per tutta la durata della mostra, acquistabile on line oppure on site in ciascuno dei tre siti presso le relative biglietterie.
info e prenotazioni: 848 800 288
da cellulare e dall’estero: 06 39967050 / www.coopculture.it prenotazioni tramite app Capodimonte su App store e Google store
Biglietti per il Museo e Real Bosco di Capodimonte
intero: 12 euro
ridotto young (18-25 anni): 2 euro
gratuito (0-18 anni) e possessori Artecard
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info e prenotazioni
848 800 288
da cellulare e dall’estero: +39 06 399 67 050
www.coopculture.it
prenotazioni tramite app Capodimonte su App store e Google store
Il pubblico è invitato a condividere le emozioni della visita sugli account ufficiali del Museo e Real Bosco di Capodimonte:
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Installazione site specific di Kaos Produzioni
Il percorso di mostra inizia con un’installazione site specific realizzata da Kaos Produzioni con la direzione artistica di Stefano Gargiulo e l’elaborazione musicale di Bruno Troisi, in cui le immagini e i suoni introducono il visitatore nei mondi di luce e ombre del naturalismo di Battistello. Le differenze tecniche e cromatiche dei suoi lavori trasformano i lividi colori metallici delle tele a olio in grandi ricami colorati negli affreschi rendendo palese come l’alternanza tra ombra e luce è condizione imprescindibile non solo per l’artista ma per la stessa vita. La profondità dell’ombra necessita della luce per essere riconosciuta, al contempo la luce semplifica, chiarisce e rassicura ma senza il buio dell’ombra l’uomo sarebbe ancora nel noioso paradiso terrestre.
Il Battista e altri ragazzi di vita
La vicinanza ai modelli del Caravaggio è testimoniata da alcuni dipinti da stanza databili tra la fine del primo e gli inizi del secondo decennio del ‘600. La collocazione delle opere è tale da rimarcare le diverse tappe del percorso di crescita artistica di Battistello.
Si comincia con il San Giovannino del 1610 giovinetto proveniente dal Museo Filangieri e si prosegue idealmente con Il giovane San Giovanni nel deserto di Berkeley e il San Giovanni Battista fanciullo del 1622 ca. della fondazione De Vito dalla sensualità esplicita e torbida che evoca i ‘ragazzi di vita’ delle opere di Caravaggio.
L’Amorino dormiente del 1622 di Palazzo Abatellis a Palermo è riconducibile, per la resa plastica del nudo e la linea di contorno, allo stesso soggetto di Caravaggio di Palazzo Pitti a Firenze. Il tema del “Gesù infante con Giuseppe” è al centro di altri due dipinti di Battistello, l’uno proveniente dal Museo di Losanna e l’altro da una collezione privata; il coinvolgimento dello spettatore è il minimo comun denominatore di queste prove del Caracciolo.
L’ombra di Caravaggio
Con l’arrivo a Napoli del pittore Michelangelo da Caravaggio (alla fine del 1606), entra nel vivo la stagione del naturalismo nel Vicereame. All’altezza del 1607-’08, l’Immacolata Concezione con i santi Francesco di Paola e Domenico, proveniente dalla chiesa napoletana di Santa Maria della Stella, costituisce il primo sforzo coerentemente caravaggesco di Battistello.
L’Immacolata della Stella è la prima opera pubblica di Battistello non ad affresco; il maestro aveva meno di trent’anni e nella pala si schiudono i primi sforzi coerentemente caravaggeschi della scena locale che la lettura dello stile, suffragata dai documenti, fissa tra il 1607 e il 1608.
Il pittore ne era così orgoglioso da lasciare la firma per esteso in basso e autoritrarsi nella figura dell’Adamo che la indica.
La composizione del dipinto innova il tradizionale schema neo cinquecentesco adottato ancora da maestri di generazione precedente come, fra tutti, Fabrizio Santafede (1560 circa – 1628 post).
Il carattere realistico dei volti dei santi nella parte inferiore del dipinto assegna a Battistello un posto di rilievo nell’evoluzione del ritratto storico nel Vicereame.
Se a Napoli, negli stessi anni, il pittore Carlo Sellitto (1581-1614) si mostra in grado di dipingere ritratti di inusitato realismo, i confronti più incisivi si pongono con l’ambiente degli scultori. Per questo i curatori hanno deciso di avvicinare alla pala un apice della statuaria devozionale come il Ritratto di Fabrizio Pignatelli di Monteleone, eseguito dal toscano Michelangelo Naccherino (1550-1622) per la chiesa di Santa Maria di Materdomini nel 1607.
Fabrizio Pignatelli fu un personaggio di grande rilievo nell’aristocrazia napoletana del secondo Cinquecento ed incarnava il profilo del buon cristiano espresso nei dettami della Controriforma. Nella statua/ritratto realizzata da Naccherino per il suo monumento sepolcrale l’intento della rappresentazione è più devozionale che celebrativo: il defunto è inginocchiato, ha deposto le armi, in atteggiamento di umile sottomissione.
Il nesso di Battistello con gli scultori forestieri in città e nel Viceregno si sostanzia con il posto di rilievo assegnato a un capolavoro della scultura di primo ‘6oo come il busto, databile tra il 1620 e il ’23, di Girolamo Flerio del bergamasco Cosimo Fanzago (1591-1678) nella chiesa napoletana di Santa Maria di Costantinopoli.
Insieme alla celebre e precoce Madonna col Bambino e San Giovannino del 1607 ca. del Museo di San Martino a Napoli, altre due opere di forte impronta caravaggesca, databili possibilmente entro il primo decennio del ‘600: l’Ecce Homo del 1607-1610 del Museo e Real Bosco di Capodimonte e il Fortitudine Pares o Cupido e la Morte del 1608-1610, raro soggetto allegorico del Museo della Cattedrale di Mdina (Malta).
Nella posteriore Fuga in Egitto, caratterizzata da un punto di vista ribassato, il modellato dei contorni e l’ovale della Madonna fanno già presumere il contraccolpo delle prime opere di Ribera (giunto a Napoli nel 1616).
Battistello e Curia a confronto
La tela Battesimo di Cristo dei Gerolamini, databile all’incirca nel 1610, ritrae san Giovanni Battista che impartisce il Battesimo a Cristo, mentre la colomba, che simboleggia lo Spirito Santo, irrompe nella scena.
L’affinità della struttura compositiva con quella de Il martirio di Sant’Orsola di Caravaggio (1610), eseguita per Marcantonio Doria (Napoli, Gallerie d’Italia), suggerisce che il Battesimo sia di poco posteriore. Le due figure emergono prepotentemente da un fondo scuro e sono illuminate da una luce laterale che ne evidenzia alcuni particolari anatomici. Se nel quadro dei Gerolamini è caravaggesca l’invenzione di due figure isolate in una stanza scura; spetta solo al Caracciolo la scoperta e la valorizzazione di un’umanità dolente e dolorosa.
Qualche anno prima, Francesco Curia (1538-1608) aveva affrontato lo stesso tema nel Battesimo della Cappella Brancaccio dove le figure sono riprese con un paesaggio con altri battezzandi.
Distensione e ingentilimento del Caravaggismo
Eseguita nel 1615 la Liberazione di San Pietro dal carcere è uno dei dipinti più celebri del Caracciolo e di tutto il ‘6oo caravaggesco.
Visibile su uno degli altari della chiesa del Pio Monte di Misericordia, rimette in una chiave iconograficamente più piana una delle opere di misericordia corporale che, nel dipinto sull’altare maggiore della chiesa, il Caravaggio, meno di dieci anni prima, aveva reso nella celebre pala dell’altare maggiore. Per questo Battistello rivisita l’affresco di eguale soggetto eseguito da Raffaello, tra il 1513 e il ’14, per la Stanza di Eliodoro in Vaticano.
La “Liberazione di San Pietro” è inoltre il quadro dove lo stile di Battistello risente più chiaramente del contatto con il Gentileschi, conosciuto a Roma un anno prima (1614), e che qui viene ripensato dal pittore nelle stesure dell’abito dell’angelo. A distanza di cinque anni dalla morte del Caravaggio (1610), la tensione e il rigore del primo naturalismo vengono ammorbiditi e stemperati.
Una questione di stile. Ribera e Battistello alla fine del primo ventennio
Dopo un soggiorno a Roma, Jusepe de Ribera (1591-1652) si trasferisce a Napoli nel 1616.
Nello spazio di pochi mesi lo spagnolo riesce a mutare definitivamente le sorti della pittura locale. A molti committenti e pittori le tele napoletane del Caravaggio (1606 -’10) erano apparse stilisticamente anomale perché basate su una tavolozza di colori ristretta al lessico tardo del maestro, privo di una precisa traccia disegnativa e talvolta volentieri improvvisato.
Ribera rimette al centro i virtuosismi tecnici e gli effetti pittorici di superficie: Battistello reagisce prontamente alle novità del pittore spagnolo. Lo si vede sia nella pala della Trinità Terrestre della chiesa della Pietà dei Turchini (1617) a Napoli dove, nella testa del San Giuseppe, Battistello cita il volto di San Pietro del Ribera (Napoli, Quadreria dei Gerolamini), sia nella Madonna d’Ognissanti del 1616-1619, proveniente dalla Collegiata di S. Maria di Ognissanti di Stilo (Reggio Calabria).
La tela monumentale restituisce una complessa rappresentazione del “Paradiso” con i protagonisti disposti su due registri sovrapposti, secondo i precetti sanciti dalla Controriforma. In alto è raffigurata la Chiesa Trionfante, con al centro Maria col Figlio, coronata da angeli e circondata da santi. Complessa ed articolata la relazione tra le figure, fatta di gesti e di sguardi; il dipinto costituisce un autentico punto di svolta nella carriera di Battistello, conquistato dagli effetti pittorici di superficie dello spagnolo Ribera giunto a Napoli nel 1616.
L’occasione di avere in mostra il dipinto corona una delle congiunture cruciali della storia della pittura a Napoli del secondo decennio del Seicento.
Un’opera tra le più impegnative della maturità del maestro è il Miracolo di Sant’Antonio da Padova della chiesa di San Giorgio dei Genovesi, in temporanea consegna a Capodimonte dal 1985, di cui si presenta il bel bozzetto autografo, privo della parte superiore con l’apparizione angelica. La pala raffigura uno dei miracoli più noti compiuti da Sant’Antonio da Padova: la resurrezione di un morto che scagiona suo padre, ingiustamente accusato dell’omicidio. Databile intorno agli anni ’20 del ‘600, e siglata, col monogramma in alto a sinistra: BCA, la tela evidenzia l’assimilazione degli esiti caravaggeschi in particolare l’angelo in volo ricorda quello delle Sette opere di Misericordia dipinto da Caravaggio per l’altare maggiore della Chiesa napoletana del Pio Monte della misericordia nel 1607. Va segnalata inoltre una intensificazione del dinamismo che rivela, da parte di Caracciolo, l’intelligente rilettura delle opere romane di Giovanni Lanfranco (1582-1647).
Figure seminude in una stanza. Genesi e variazione di un tema caravaggesco
La Crocifissione con i dolenti si può ancora una volta confrontare con la Crocifissione di Sant’Andrea di Caravaggio oggi al Museo di Cleveland, ma Battistello adotta uno scarto patetico e un cambiamento della luce che ammorbidiscono la composizione.
Le tele a figura intera – dal Davide con la testa di Golia prima del 1612 della Galleria Borghese di Roma al Cristo e allo scherano della Crocifissione del 1610 ca. di Capodimonte – rivelano un incremento stilistico da leggere in direzione del Gentileschi e del Ribera (giunto a Napoli nel 1616).
Si nota nel Sant’Onofrio del 1617 della Galleria Corsini un avvicinamento al pittore spagnolo, che si estende al Compianto su Cristo morto del 1620 ca. di Baranello in Molise (appoggiata a un prototipo del Ribera) e al Cristo morto trasportato al sepolcro del 1620 ca. della Fondazione Longhi.
Restauri rivelatori
Superata la metà del terzo decennio, la scena è dominata dallo spagnolo Ribera.
Dipinti sacri o mitologici – come il San Gerolamo e l’angelo, la Trinità terrestre con santi, oltre che il Sileno ebbro, firmato nel ’26 – si offrono come modelli a tutti i pittori napoletani. Quella di Battistello è una rilettura di Ribera molto personale: la Gloria di San Luigi Gonzaga (documentato da un pagamento di acconto del 2 gennaio 1627) della Chiesa del Gesù Vecchio, grazie all’impeccabile restauro per la mostra, svela integralmente la rara tavolozza e la resa illusionistica.
L’invenzione potente di una figura che, scortata da angeli, ascende dal nostro spazio reale viene replicata nell’Immacolata Concezione di Roccadaspide del 1627 ca.
Nella tela cilentana si dispiega l’elaborato panneggio, che avvolge la figura nei termini di una statua processionale. Questo nesso giustifica l’esposizione del busto devozionale di Santa Patrizia, una delle compatrone di Napoli.
Datato nel 1625, raro esempio dell’arte argentaria della prima metà del secolo, spetta a Leonardo Carpentiero, fatto giustiziare dal Cardinale Zapata per reato di lesa maestà.
L’attivazione dinamica dei nodi narrativi
Due tele da stanza del maestro risalenti, con ogni probabilità, agli anni 1620 sono il Noli me tangere del 1618 di Prato, e il Cristo e la Samaritana del 1622, tra i culmini seicenteschi della Pinacoteca di Brera.
Vi si apprezza lo sforzo di attivare dinamicamente il modulo, di origine caravaggesca, di due o più personaggi a mezzo busto o a tre quarti in uno stanzone scuro, con tagli scorciati e punti di vista ribassati che contribuiscono ad animare i dialoghi tra le figure.
Non vi è dubbio che la conoscenza delle opere romane di Giovanni Lanfranco (1582-1647), specie la decorazione della Cappella Bongiovanni in Sant’Agostino (1616), sia stata cruciale per questi incrementi di stile e cultura dell’opera di Battistello.
Infine l’interpolazione di un gruppo in marmo del fiorentino Pietro Bernini (1562-1629) come il San Martino e il povero, più antico di un ventennio, rivela come Battistello avesse saputo trarre frutto dalla lezione degli scultori a Napoli.
Lo spettatore come complice
Tre apici della prima maturità del Caracciolo collocabili nel corso del secondo decennio.
Il cosiddetto Cristo e Simone da Cirene o “Qui vult venire post me” (dal Vangelo di Luca) (Torino, Università) proveniente dalla collezione di Marcantonio Doria a Genova dove è attestato nel 1614.
L’opera è siglata sul margine destro e sul retro si legge la scritta “Del Caracciolo”; con una croce sovrastante tre lettere: MAD.
Nel 1614 Battistello riceve ottanta ducati da Lanfranco Massa, procuratore di Marcantonio Doria, come pagamento di una tela raffigurante un Cristo Portacroce. Il titolo dell’opera ricalca la celebre esortazione cristologica riportata nei vangeli: «Se qualcuno vuole venire dietro di me, rinneghi sé stesso, prenda la sua croce ogni giorno e mi segua».
L’adozione di un taglio ravvicinato è funzionale a coinvolgere chi guarda tra gli astanti del calvario. Si tratta di una strategia di coinvolgimento che Battistello sperimenta anche in altri dipinti da stanza. Il recente restauro (2019) ha riportato alla piena leggibilità una tavolozza smagliante e una serie di dettagli – dai panni stracciati del ragazzino fino ai piedi sporchi in primo piano – che rivelano il ripensamento degli ultimi capolavori del Caravaggio (a cominciare dalla Madonna del Rosario, oggi a Vienna, Kunsthistorishes Museum).
Lo affiancano una Salomé con la testa del Battista, di una collezione privata e, infine, la celebre tela di eguale tema proveniente dalla Galleria degli Uffizi, pure databile tra il 1615 e il ’20 e attestata, su base documentaria, negli appartamenti del giovane principe Leopoldo dei Medici già nel 1638. In questi dipinti lo spettatore, direttamente chiamato in causa, diventa complice della scena che si sta consumando.
Accoppiamenti traumatici e giudiziosi
La Leda e il cigno del 1630, riferibile su esclusiva base stilistica al finale di partita del pittore, appartiene a una collezione privata.
Il soggetto di questo quadro da stanza è tratto dagli amori di Zeus, capace di tramutare il proprio aspetto per sedurre ignare fanciulle: invaghitosi della bella Leda, il re degli dei si trasforma in un cigno. Riferita alla fase di estrema maturità dell’artista, la tela presenta brani di notevole virtuosismo, soprattutto nella resa del piumaggio del cigno.
Collocabile ai primi anni 1630, come Venere e Adone, quando più scoperti appaiono i debiti di Battistello nei confronti dei maestri bolognesi – specie del Domenichino (1581-1641) e del Lanfranco, entrambi attivi a Napoli nella Cappella del Tesoro di San Gennaro dagli inizi degli anni ‘30. Il soggetto di Venere e Adone è desunto dalle Metamorfosi di Ovidio e ritrae il commiato di Adone, che lascia Venere per una battuta di caccia. La tela, proveniente dalla chiesa napoletana dei SS. Marcellino e Festo, per potere essere inserita in un contesto ecclesiastico era stata ridipinta, in particolare la figura femminile coperta e Adone mutato in un Santo, non facilmente identificabile, forse un San Rocco o un San Vito o San Giuliano l’uccellatore. Solo grazie ad un restauro rivelatore, del 1983, è emersa la figura di Venere. L’opera è ascrivibile alla maturità dell’artista per il modellato morbido supportato da un attento uso del disegno.
I dipinti esposti rivelano una trama di riferimenti alla pittura bolognese, a cominciare dalla decorazione del soffitto della Galleria Farnese a Roma, come nelle figure di Adone e Venere; così come sembra rinviare a questo anche il tema, di origine ellenistica, ma ripreso dalla tradizione cinquecentesca nella Leda col cigno. Da un punto di vista stilistico siamo negli anni delle imprese di San Martino dove, secondo le parole del De Dominici, Battistello usò: ‘più tosto maniera chiara, che la sua solita oscura e caricata di lumi…’.
Battistello e Lanfranco
Nato nel 1582 e giunto a lavorare a Napoli, dove si tratterrà dal 1634 al ‘46, Lanfranco è a Napoli il più decisivo pittore non napoletano del secondo trentennio del secolo. Ma chi risente di Lanfranco è nessun altri che Battistello.
Le opere del maestro condotte nel corso degli anni 1620 e nella prima metà dei ‘30 stabiliscono il riadattamento, in chiave ormai moderatamente caravaggesca, di invenzioni spaziali e compositive di Lanfranco. La matrice naturalistica rimane, nondimeno, riconoscibile nel percorso maturo di Battistello.
Battistello disegnatore
Battistello Caracciolo è un caravaggesco in controtendenza: lo dimostrano i suoi disegni, così nitidi e veloci, strettamente correlati all’esecuzione di un dipinto. Com’è noto il modus operandi di Michelangelo Merisi, per come lo conosciamo attraverso le fonti e le opere a noi pervenute, trascurava l’esercizio grafico preliminare alla realizzazione pittorica. Di fondamentale importanza per la comprensione del ruolo del disegno nell’opera di Battistello è stato il riconoscimento della sua mano in diversi disegni conservati presso il National Museum di Stoccolma. I fogli, alcuni qui esposti, furono portati in Svezia alla fine del Seicento dall’architetto Nicodemus Tessin il Giovane, di ritorno dai suoi viaggi in Italia, nel corso dei quali nel 1676 si spinse fino a Napoli. Tra questi alcuni solenni studi a matita in cui Battistello approfondisce le singole figure, in vista dell’esecuzione pittorica. Fa parte del gruppo lo splendido studio per la figura di Gonzalo Fernández de Córdoba, primo viceré di Napoli dal 1504 al 1507, nella scena della Consegna delle chiavi della città dipinta da Battistello sulla volta della Sala del Gran Capitano nel Palazzo Reale di Napoli.
Oltre Battistello
Chiude l’itinerario battistelliano un vero capolavoro degli anni napoletani di Mattia Preti (1653-’59), ma che costituisce un unicum: Scena di carità con tre fanciulli mendicanti, che in uno sfondo urbano, chiedono l’elemosina rivolgendosi direttamente a noi.
Mentre coinvolgono lo spettatore come mai avvenuto prima e raramente in seguito, questi scugnizzi seicenteschi si riallacciano, in stile e concetto, al Battista del Museo Filangieri con cui si apre il percorso. E così, mentre il regnicolo Preti, intorno al 1656-’58, dà idealmente la mano al napoletano Caracciolo a vent’anni dalla morte, finita la mostra ricomincia la mostra.
Battistello Caracciolo (Napoli 1578-1635)
Immacolata Concezione
1627 ca.
olio su tela, 228 x 135 cm.
Roccadaspide (Salerno), chiesa della Natività della Beata Maria Vergine
Restauro del dipinto: Claudio Palma, Sara Vitulli.
Alta sorveglianza: Antonio Falchi, Soprintendenza Abap per le province di Salerno e Avellino.
Documentazione fotografica: Ugo Punzolo.
Indagini diagnostiche: Marco Cardinali, Beatrice De Ruggieri, Matteo Positano (Emmebi Diagnostica Artistica); Stefano Ridolfi (Ars Mensurae); Claudio Falcucci (MIDA).
Coordinamento delle indagini: Angela Cerasuolo.
Un importante recupero realizzato nell’ambito della mostra è stato quello della tela raffigurante l’Immacolata Concezione conservata nella chiesa della Natività della Vergine nella cittadina cilentana di Roccadaspide, opera misconosciuta fino a tempi abbastanza recenti e offuscata da condizioni conservative problematiche: la leggibilità era compromessa da lacune e da ritocchi e vernici alterate.
Il dipinto versava infatti in cattivo stato soprattutto per quanto concerne la leggibilità, compromessa da numerose lacune e da ritocchi e vernici alterate.
La pulitura e soprattutto la risarcitura attenta e misurata delle tante lacune diffuse su tutta la superficie che frammentavano la lettura hanno recuperato la preziosa cromia, mettendo in risalto la luminosità del fondo verde azzurro, cupo ma intenso e l’articolazione del volume dello splendido panneggio bianco tempestato di stelle d’oro.
Queste stelle, come pure quelle che formano la corona della Vergine, sono composte da oro metallico puro, come ha evidenziato l’indagine della fluorescenza X (XRF). Tale indagine ha individuato la tavolozza, con un ampio uso di terre, oltre al cinabro per il rosa porcellanato dell’incarnato della Vergine e al verde azzurro del fondo a base di rame.
Non si scorgono tracce dirette del disegno iniziale, che sicuramente sarà stato predisposto. È stato messo in relazione con questo dipinto il notevole studio a penna del Nationalmuseum di Stoccolma (inv. NM 681.1863), già attribuito a Francesco Curia.
Tanto l’immagine radiografica che quella riflettografica evidenziano come l’area del volto sia stata impostata circondandola con il fondo azzurro, steso più denso e ricco di biacca attorno ad essa, isolando un ovale molto geometrico, che poi verrà ammorbidito e leggermente ampliato con la chioma castano dorata, applicata successivamente sopra il fondo e sulla scollatura squadrata della veste. Anche le dita della mano destra che fuoriescono dal braccio sinistro incrociato sono dipinte in un secondo momento, al di sopra delle pieghe del panneggio che si vedono in trasparenza.
L’Immacolata, che rimanda a un’immagine di culto processionale con l’ampio drappeggio che l’avvolge, si accosta al San Luigi Gonzaga in gloria del Gesù Vecchio per l’invenzione della figura statuaria che ascende al cielo dallo spazio reale.
Battistello Caracciolo (Napoli 1578-1635)
Gloria di San Luigi Gonzaga
1627
Olio su tela, cm 310×207
Napoli, chiesa del Gesù Vecchio, seconda cappella sul lato sinistro
Restauro del dipinto: Giuseppe Mantella con Laura Liquori e Paola Porcaro
Direzione lavori: Sara Vitulli
Alta sorveglianza: Alessio Cuccaro e Barbara Balbi (SABAP di Napoli)
Indagini diagnostiche: Marco Cardinali, Beatrice De Ruggieri, Matteo Positano (Emmebi Diagnostica Artistica); Stefano Ridolfi (Ars Mensurae).
Coordinamento delle indagini: Angela Cerasuolo.
La Gloria di San Luigi Gonzaga del Gesù Vecchio, a cui si riferisce un pagamento del 1627, è un’opera poco conosciuta per una singolare distrazione della critica, che lo ha ‘scoperto’ solo nel 1970, ma anche e soprattutto per la scarsa leggibilità in cui versava.
Il restauro ha messo in luce la qualità altissima del dipinto, evidenziando la spazialità della composizione che, con l’intensità del chiaroscuro e la brillantezza dei colori, ha recuperato tutta la profondità e la ricchezza cromatica dispiegata da Battistello.
L’intervento attuale si è rivelato il primo a cui l’opera è stata sottoposta dopo un antico restauro – molto vicino alla data di esecuzione – che ne comportò l’ampliamento delle dimensioni e alcuni limitati ritocchi.
L’ampliamento ha aumentato la larghezza di circa 70 cm tramite l’aggiunta di due strisce simmetriche di tela ai lati. Sulla superficie pittorica l’ingrandimento è stato realizzato dipingendo ai due lati due pilastri simmetrici che completano l’altare in cui è inserita la scena; contestualmente furono realizzati ritocchi che hanno ‘accompagnato’ l’aggiunta alla raffigurazione, riprendendo i profili dei marmi e il fondo, e ripassando alcune parti del dipinto, in particolare l’aureola e il volto del santo. Anche la stesura pittorica di questo restauro, di notevole qualità, è riconducibile a una data molto antica. Significativa la presenza nell’aggiunta dello stesso pigmento (azzurro di smalto) utilizzato per le nuvole del dipinto, ora completamente alterate.
Nella Gloria di San Luigi Gonzaga abbiamo una conferma della limpida chiarezza compositiva di Battistello, che presuppone un’accurata predisposizione grafica. Lo riscontriamo in modo esemplare negli splendidi putti, sia quelli che in alto incoronano il Santo sia quelli che in basso lo sorreggono, nitidamente profilati da contorni evidentissimi nelle immagini in radiografiche e in riflettografia infrarossa. Alcune piccole modifiche risultano palesi perché non previste dall’impianto iniziale. In basso infatti vediamo che la geometria della balaustra si interrompe dove sono collocati i putti, i rispettivi profili scuri risparmiati dalla preparazione (RX) e ribaditi con tratti a pennello (IR) sono ordinatamente giustapposti. Fanno eccezione le gambe del primo putto a sinistra, inizialmente non previste, che si sovrappongono all’architettura della balaustra già definita, risultando così più trasparenti. Queste parti significativamente sono prive delle profilature scure, mentre il disegno della balaustra prosegue vistosamente sotto di esse.
Un altro ripensamento riguarda l’aggiunta della corona, dipinta al di sopra dell’architettura che traspare in radiografia, a differenza del sontuoso drappo che si staglia al centro invadendo lo spazio dell’osservatore, previsto fin dall’inizio.
Per quanto riguarda la tavolozza, si è confermato l’uso di terre, anche per gli incarnati e i rossi più vivi, ma è anche emerso un dato di grande interesse, per la consistente presenza di giallo di Napoli, pigmento di sintesi che comincia a diffondersi nei primi decenni del Seicento, identificato nei ricami dorati del manto rosso damascato e nei drappi dei due putti in primo piano al centro, l’uno di un giallo brillante e luminoso, l’altro verde con intensi tocchi cangianti di giallo. Anche il giallo oro della corona è reso con lo stesso pigmento.
Un altro pigmento identificato dalle indagini, ma ormai alterato perdendo del tutto la sua colorazione azzurra, è il blu di smalto, o smaltino. Questo pigmento è infatti soggetto a un fenomeno di alterazione che ne comporta la decolorazione: le nuvole che circondano ai due lati la figura del santo, che hanno ora assunto una colorazione bruno-aranciata, erano in origine azzurre. Dobbiamo immaginare quindi il monumentale San Luigi avvolto in una luce azzurrina, con un effetto di profondità e di naturalismo ancora più intensi.
Giovan Battista Caracciolo, detto Battistello (Napoli, 1578 – 1635)
Liberazione di San Pietro dal carcere
1615
olio su tela, cm 310×207
monogramma in basso a sinistra: GBCA
Napoli, chiesa del Pio Monte della Misericordia
Restauro del dipinto: Bruno Arciprete con Massimo Arciprete
Direzione lavori: Angela Cerasuolo
Alta sorveglianza: Alessio Cuccaro e Barbara Balbi (SABAP di Napoli)
Conservatore del Pio Monte della Misericordia: Loredana Gazzara
Indagini diagnostiche: Marco Cardinali, Beatrice De Ruggieri, Matteo Positano (Emmebi Diagnostica Artistica); Stefano Ridolfi (Ars Mensurae).
Coordinamento delle indagini: Angela Cerasuolo.
Il dipinto fu eseguito da Battistello per uno degli altari della chiesa del Pio Monte di Misericordia, dove Caravaggio, meno di dieci anni prima, aveva realizzato la celebre pala dell’altare maggiore raffigurante Le Sette opere di Misericordia.
Il soggetto interpreta l’opera di carità Visitare i carcerati e illustra la visita di un Angelo a San Pietro in carcere. Le figure emergono dal buio della notte: Pietro e l’angelo stanno attraversando, indisturbati, l’ultimo picchetto di soldati di guardia addormentati, e l’apostolo procede stupito fuori dal carcere.
Il dipinto è considerato il capolavoro del Caracciolo, che ci mostra in questa tela di aver profondamente assimilato la lezione di Caravaggio nel chiaroscuro violento e nella posa dell’uomo in primo piano di spalle, in cui riprende il paralitico ritratto nella tela dell’altare maggiore. Battistello, inoltre, dimostra anche di essersi aggiornato durante i suoi viaggi a Roma guardando i grandi soffitti romani, Annibale Carracci e Orazio Gentileschi.
Il restauro, realizzato in occasione della mostra, ha restituito leggibilità alle ampie aree in ombra, che erano rese indistinte e appiattite dal velo opacizzato dei depositi superficiali e delle vernici. La pulitura controllata e graduale e l’integrazione sapiente delle lacune diffuse e delle microabrasioni hanno ridato corpo e luminosità alle stesure, recuperando la pienezza dei volumi e l’espressione delle figure in luce dell’Angelo e del Santo, veri e tangibili, la preziosità del tessuto serico della tunica dell’angelo, il verde cupo della veste di Pietro, la nota acuta di rosso della figura sdraiata in primo piano.
La tela di supporto del dipinto, a tessitura regolare con una densità piuttosto rada, ha subito in antico un ampliamento, con l’aggiunta di circa 25 cm di tela nella parte alta, la cui applicazione è da ricondurre alla riedificazione della chiesa del Pio Monte realizzata da Francesco Antonio Picchiatti fra il 1658 e il 1671. È in quella occasione infatti che si rese necessario ingrandire la tela per adeguarla alle maggiori dimensioni della nuova chiesa. L’ampliamento del dipinto di Battistello deve essere avvenuto quindi nel 1671, o poco prima. L’aggiunta è del tutto
compatibile con tale datazione, sia per la tela impiegata, sia per i materiali pittorici.
La colorazione dello strato preparatorio corrisponde ai toni molto scuri consueti nei pittori del naturalismo napoletano e in Battistello; i componenti riscontrati sono tutti raffrontabili con i materiali utilizzati da Caravaggio a Napoli e in particolare proprio con gli strati preparatori della pala del Pio Monte, fra cui è significativo l’uso di una ‘terra nera’ di origine minerale presente anche nella preparazione delle Sette opere.
L’esame radiografico e riflettografico anche in questo dipinto conferma quanto già osservato sull’impostazione compositiva dei dipinti di Battistello, basata su un solido impianto disegnativo e accuratamente predisposta prima di procedere all’esecuzione pittorica.
Il disegno preparatorio vero e proprio non è facilmente riconoscibile nelle riflettografie, a causa dello scarso contrasto offerto dalla preparazione molto scura. Si riscontrano però segni indiretti del disegno, di fatto inequivocabili. Il contorno delle figure è evidenziato in radiografia dalla linea scura che corrisponde alla preparazione lasciata ‘in riserva’. Una modalità che Battistello ha in comune con Caravaggio, ma che adotta in modo personale e coerente assieme ad altri accorgimenti che caratterizzano in maniera del tutto singolare le fasi preparatorie delle sue opere.
I volti dei due protagonisti restituiscono un’immagine radiografica estremamente nitida e definita: il volto di San Pietro è segnato sulla sinistra da un contorno nero risparmiato dal fondo, mentre le massime luci sono nette e cariche. Il volto dell’angelo mostra palesi i contorni luminosi segnati da linee sottili chiare molto dense; a sinistra la chioma è delineata con sottili pennellate radiopache che disegnano il confine con l’ala.
In riflettografia si palesano altre linee, scure, in parte di impostazione, in parte riprese nei tocchi finali, come il sottile profilo nero che segna la fronte e la guancia dell’angelo a destra. Intorno alla fronte di San Pietro a sinistra di notano larghe pennellate liquide e scure che sottolineano i rilievi. Una fascia simile scontorna il ginocchio e la mano stesa della figura seduta in basso in primo piano.
Meno leggibili contorni e luci nelle figure nella penombra, probabilmente a causa della natura dei materiali che offrono una risposta meno palese in RX e all’infrarosso. Degna di nota l’ampia scontornatura chiara evidente in radiografia, che separa la gamba del soldato addormentato sulla sinistra dalla veste dell’angelo per accentuare l’alone luminoso che avvolge l’apparizione angelica.
Riguardo la tavolozza, la fluorescenza X ha permesso di analizzare in maniera non invasiva tutte le principali aree cromatiche, riscontrando come di consueto per Battistello, un ampio generale uso di terre, anche negli incarnati, nei rossi più vivi e nei gialli brillanti. Molto limitato l’uso di azzurri e verdi: si è riscontrato l’uso di pigmenti a base di rame nel panneggio del San Pietro, formato probabilmente da malachite con velature di verderame, pigmenti che seppure parzialmente anneriti e abrasi da antiche puliture, mantengono almeno in parte la colorazione blu-verde.
Il cinabro, rosso intenso e pregiato, è utilizzato con estrema parsimonia, coerentemente con le preferenze di Caravaggio riportate dalle fonti: lo troviamo nell’incarnato smaltato del volto dell’angelo e solo in tracce nei tocchi rubizzi del volto di San Pietro e nel panno rosso della figura reclinata in primo piano, intensa nota cromatica di grande efficacia, composto principalmente da terra rossa.
1578
Nasce a Napoli Giovan Battista Caracciolo, detto Battistello
1598
Battistello sposa Beatrice di Mario, originaria di Gaeta. I due andranno a vivere presso la parrocchia della Carità.
1600
E’ a Roma con il pittore e suo primo maestro Belisario Corenzio in occasione dell’anno giubilare.
1601
Sono documentati i primi interventi del giovane Battistello sulla facciata esterna della Cappella del Monte di Pietà a Napoli, dei quali resta oggi solo una traccia assai labile.
1607/08
Firma per esteso la pala dell’Immacolata Concezione per la cappella Barile (o Barrile) nella chiesa di Santa Maria della Stella a Napoli (in mostra). Affresca i Putti che scostano il velario nella controfacciata della chiesa napoletana di Sant’Anna dei Lombardi.
1610
Nel Battesimo di Cristo della Quadreria dei Girolamini di Napoli (in mostra), dipinto probabilmente intorno a questa data, Battistello sembra ripensare a un capolavoro estremo del Caravaggio come la Sant’Orsola trafitta dal tiranno, (Napoli, Gallerie d’Italia) eseguita nel 1610 per Marcantonio Doria.
1611
Realizza per la sala del Gran Capitano Consalvo de Cordova in Palazzo Reale a Napoli uno dei rari cicli di soggetto storico della pittura napoletana del primo Seicento. In uno dei riquadri è ritratto Caravaggio.
1612 – 1614
Battistello è a Roma, dove si confronta con i maggiori esponenti della scuola bolognese e con il toscano Orazio Gentileschi. Risalgono a questa data il David con la testa di Golia, eseguito per il cardinale Scipione Borghese (Roma, Galleria Borghese, in mostra).
A stretto giro di anni cade la realizzazione del San Giovanni Battista giovinetto di Berkeley Art Museum.
1615
Realizza la Liberazione di San Pietro per la chiesa del Pio Monte di Misericordia a Napoli (in mostra).
Si legano a questo dipinto le due versioni del Cristo soccorso dall’angelo (della Parrocchiale di Vho e di Vienna, Kunsthistoriches Museum, entrambe in mostra).
1617
Lavora alla decorazione a fresco della cappella di Porzia Caracciolo nella chiesa di Santa Teresa degli Studi, e realizza la Trinitas terrestris (in mostra) per la chiesa napoletana della Pietà dei Turchini. A Roma compare tra i firmatari dello Statuto dell’Accademia di San Luca, ed entro la fine dell’anno raggiunge Firenze.
1618
A Firenze lavora per il granduca Cosimo II de Medici, soprattutto come ritrattista. Si sposta a Genova al servizio della famiglia Doria con cui era in rapporti da almeno quattro anni.
Rientrato nel Regno realizza a partire da questa data la grande pala d’altare con la Madonna d’Ognissanti (in mostra) per la Collegiata di Stilo in Calabria.
1622
Battistello esegue la Lavanda dei piedi per il coro della Certosa di San Martino.
1623 – 1625
Battistello è chiamato a collaborare dal pittore Fabrizio Santafede alla decorazione della cappella di San Gennaro nel Duomo di Napoli. Successivamente i Deputati del Tesoro decidono di sollevarlo dall’incarico perché insoddisfatti degli esiti del lavoro svolto.
1629
Riceve l’onorificenza di Cavaliere dell’Ordine di Cristo del Portogallo, ordine cavalleresco del Regno del Portogallo che trae la sua eredità dal soppresso ordine dei Cavalieri templari.
1631
Battistello è impegnato nella realizzazione degli affreschi di soggetto mariano nella cappella dell’Assunta, sul lato sinistro della chiesa della Certosa di San Martino.
1632 – 1634
Pitture ad olio ed a fresco per la cappella di San Gennaro della chiesa della Certosa di San Martino;
nel 1634 sigla la tela con l’Assunta sul soffitto della chiesa di Santa Maria di Portosalvo a Napoli.
1635
Battistello muore tra il 19 dicembre, giorno in cui fa testamento, e il 24 dicembre, quando il documento fu aperto e letto agli eredi.
Parte dell’appartamento del viceré nel Seicento e di quello di Carlo di Borbone nel secolo successivo, la sala del Gran Capitano prende il nome dagli affreschi della volta, eseguiti da uno dei primi seguaci del Caravaggio a Napoli, Giovan Battista detto Battistello Caracciolo (Napoli 1578-1635). I dipinti raffigurano Storie del Gran Capitano Gonzalo Fernández de Córdoba, che dopo aver sconfitto per due volte l’esercito francese divenne il primo viceré spagnolo di Napoli (1504-1507).
Biglietto mostra: 20 euro cumulativo per Museo e Real Bosco di Capodimonte, Palazzo Reale e Certosa e Museo di San Martino, valido per un ingresso in ogni sito espositivo per tutta la durata della mostra
Palazzo Reale di Napoli, piazza Plebiscito 1 – Napoli
Sala del Gran Capitano – tutti i giorni (mercoledì giorno di chiusura), dalle ore 9.00 alle ore 20.00 (ultimo ingresso ore 19.00).
palazzorealedinapoli.org / 081 580 8255 / pal-na@beniculturali.it
Alla mostra principale di Capodimonte, si collega idealmente e concretamente il racconto di Battistello a San Martino, che si snoda tra i luoghi caratterizzati dagli interventi che il pittore eseguì per la committenza certosina al tempo della sua piena maturità: dalla grande tela per il coro del 1622, ai dipinti per la sala del capitolo del 1626, agli affreschi per le cappelle dell’Assunta e di San Gennaro, per le quali aveva realizzato anche le pale d’altare poi spostate in altri ambienti, che si scalano nei primi anni trenta, poco prima della morte avvenuta nel 1635.
Per poter apprezzare pienamente lo sforzo straordinario messo in campo da Battistello e dagli altri artisti chiamati a decorare la Certosa
negli anni di Cosimo Fanzago, la Direzione regionale dei Musei della Campania ha voluto “riaccendere le luci” nelle cappelle e negli spazi annessi alla Chiesa, grazie ad un nuovo eccellente impianto di illuminazione, che rappresenta il primo passo di un processo di rinnovamento che riguarderà presto l’intero complesso, grazie al lavoro della direzione e di tutto il personale.
Il racconto di Battistello a San Martino si conclude nella Sala dedicata al pittore all’interno della galleria del Quarto del Priore, dove sono esposti, grazie ad un allestimento progettato per l’occasione e in dialogo con quello della mostra di Capodimonte, i dipinti, i bozzetti per gli affreschi e anche, per la prima volta, i disegni di Battistello conservati nelle raccolte del museo, che dimostrano la maestria e la duttilità di un artista al quale, a fronte del naturalismo ben compreso e praticato, certo non difettavano lo studio e l’invenzione.
In occasione dell’inaugurazione della mostra, giovedì 9 giugno 2022 alle 18.30, la Certosa e Museo di San Martino sarà aperta al pubblico con ingresso gratuito dalle ore 18.00 fino alle 22.00 (la biglietteria chiude alle 21.00). Saranno visitabili la Chiesa e gli ambienti annessi, la Sala della Cona dei Lani, il Quarto del Priore, la Sezione presepiale e il Refettorio.
Biglietto mostra: 20 euro cumulativo per Museo e Real Bosco di Capodimonte, Palazzo Reale e Certosa e Museo di San Martino, valido per un ingresso in ogni sito espositivo per tutta la durata della mostra
Certosa e Museo di San Martino, Largo San Martino, 5 – Napoli
Chiesa e Quarto del Priore* tutti i giorni (mercoledì giorno di chiusura), dalle ore 8.30 alle ore 19.00 (ultimo ingresso ore 18.00). Il Quarto del Priore è visitabile dalle 9.30.
museicampania.cultura.gov.it /+39 0812294503 / drm-cam.sanmartino@beniculturali.it
Il patriarca bronzeo dei caravaggeschi. Battistello Caracciolo 1578-1635
9 giugno 2022 – 2 ottobre 2022 (Prorogata fino al 1 novembre 2022)
Museo e Real Bosco di Capodimonte
Da un’idea di
Sylvain Bellenger, direttore del Museo e Real Bosco di Capodimonte grazie alla collaborazione istituzionale con Mario Epifani, direttore del Palazzo Reale di Napoli e Marta Ragozzino, Direttrice regionale Musei Campania
A cura di
Stefano Causa e Patrizia Piscitello
Per il Museo e Real Bosco di Capodimonte
Ufficio mostre
Patrizia Piscitello
Concetta Capasso
Giovanna Baldasarre
Giovanna Bile
Valentina Lanzilli
Ufficio documentazione
Alessandra Rullo
Paola Aveta
Ufficio restauro
Angela Cerasuolo Liliana Caso
Antonio De Riggi
Antonio Tosini
Sara Vitulli
Alessia Zaccaria
Gabinetto Disegni e Stampe
Simonetta Funel
Progetto di allestimento
COR arquitectos (Roberto Cremascoli, Edison Okumura, Marta Rodrigues) & Flavia Chiavaroli
Direzione lavori
Renata Marmo
Segreteria di Direzione
Francesca Dal Lago
Luciana Berti
Responsabile digitalizzazione e catalogo digitale
Carmine Romano
Riprese fotografiche
Amedeo Benestante
Serena Schettino
Ricerche d’archivio
Benedetta Damiani
Maria Varriale
Apparati didattici
Stefano Causa
Patrizia Piscitello
Giovanna Baldasarre
Maria Varriale
Traduzioni
Caroline Paganussi
Didattica
Le Nuvole
Ufficio stampa
Luisa Maradei
Comunicazione
Roberta Senese
Pasqualina Uccello
Sito web, social media e cerimoniale
Giovanna Garraffa
Marina Morra
Supporto giuridico-amministrativo
Carmine Panico
Coordinamento allestimento e movimentazioni
Patrizia Piscitello
Movimentazioni
F.lli Bevilacqua Sas
Montenovi Srl
Realizzazione allestimento
Artigianadesign Srl
Produzione materiali grafici
Francesco Giordano
Realizzazione materiali grafici
MEF Sas
Sala multimediale, progetto site-specific
Kaos Produzioni
Direzione artistica
Stefano Gargiulo
Elaborazione musicale
Bruno Troisi
Catalogo
Editori Paparo
Associazione Amici di Capodimonte Ets
Presidente
Errico di Lorenzo
Responsabile attività e coordinamento
Stefania Albinni
Con il sostegno dei fondi europei della Regione Campania, Fondi POC- Programma operativo complementare 2014-2020, progetto “Capodimonte oggi racconta”
Presidente della Regione Campania
on. Vincenzo De Luca
Coordinamento Scientifico regionale per le Arti e la Cultura
dott.ssa Patrizia Boldoni
Direttore Generale per le Politiche Culturali e il Turismo
dott.ssa Rosanna Romano
Dirigente Ufficio Promozione e Valorizzazione dei Beni Culturali
dott.ssa Nadia Murolo
Main Sponsor
Gesac
Sponsor tecnico
Tecno Srl
BIG – Broker Insurance Group
Enti e Musei prestatori
Baranello (CB), Chiesa di San Michele Arcangelo
Antonio Priston
Campobasso, Soprintendenza ABAP del Molise
Dora Catalano
Vincenzo Papa
Collezione Michele Gargiulo
Cremona, Museo Diocesano
don Gianluca Gaiardi
Stefano Macconi
Firenze, Gallerie degli Uffizi
Eike Schmidt
Francesca Montanaro
Firenze, Fondazione di Studi di Storia dell’Arte Roberto Longhi
Maria Cristina Bandera
Paolo Benassai
Andrey Bliznyukov
Firenze, Musei del Bargello
Paola D’Agostino
Andrea Staderini
Firenze, Soprintendenza ABAP della città metropolitana di Firenze e delle provincie di Prato e Pistoia
Andrea Pessina
Maria Maugeri
Daniela De Palma
Losanna, Musée Cantonal des Beaux
Sebastien Dizerens
Sofia Sanfelice
Malta, Mdina Cathedral Museum
Padre Edgar Vella
Mantova, Soprintendenza ABAP per le province di Cremona, Lodi e Mantova
Gabriele Barucca
Filippo Piazza
Milano, Pinacoteca di Brera
James Bradburne
Alessandro Coscia
Elisabetta Bianchi
Ministero degli Interni-Fondo Edifici di Culto
Sonia Boccia
Eleonora Ippolito
Napoli, Augustissima Arciconfraternita ed Ospedali della SS. Trinità dei Pellegrini e Convalescenti
Giuseppe Brancaccio
Napoli, Basilica dell’Incoronata Madre del Buon Consiglio
Monsignore Nicola Longobardo
Napoli, Chiesa di Santa Maria della Stella, proprietà Ministero dell’Interno, Fondo Edifici di Culto
Padre Mario Savarese
Napoli, Biblioteca e Complesso monumentale dei Girolamini
Antonella Cucciniello
Deanna Castino
Sergio Liguori
Napoli, Certosa e Museo di San Martino
Francesco Delizia
Lidia Del Duca
Napoli, Chiesa di Santa Maria di Costantinopoli
Padre Orlando Barba
Napoli, Chiesa Santa Maria Incoronatella della Pietà dei Turchini
Padre Simone Osanna
Napoli, Chiesa del Gesù Vecchio
Padre Rosario Cantone
Napoli, Curia Arcivescovile di Napoli
Monsignore Adolfo Russo
Padre Giacomo Curia
Napoli, Deputazione della Real Cappella del Tesoro di San Gennaro, Duomo, Cappella del Tesoro di San Gennaro
Duca Riccardo Carafa d’Andria
Luciana De Maria
Napoli, Direzione regionale Musei Campania
Marta Ragozzino
Ilaria Menale
Napoli, Duomo – Cattedrale di Santa Maria Assunta
Don Vincenzo Papa
Napoli, Museo Civico Gaetano Filangieri
Paolo Iorio
Luca Manzo
Napoli, Pio Monte della Misericordia
Fabrizia dei Duchi di San Nicola
Loredana Gazzara
Napoli, Soprintendenza ABAP del comune di Napoli
Luigi La Rocca
Barbara Balbi
Annunziata d’Alconzo
Napoli, Soprintendenza ABAP per l’area Metropolitana di Napoli
Teresa Elena Cinquantaquattro
Marianna Merolla
Palma Recchia
Palermo, Galleria Regionale della Sicilia, Palazzo Abatellis
Evelina De Castro
Valeria Sola
Prato, Museo di Palazzo Pretorio
Rita Iacopino
Reggio Calabria, Soprintendenza ABAP per la città metropolitana di Reggio Calabria e la provincia di Vibo Valentia
Fabrizio Sudano
Daniela Vinci
Roccadaspide (Salerno), chiesa della Natività della Beata Maria Vergine
Roma, Galleria Borghese
Francesca Cappelletti
Annalaura Valitutti
Roma, Gallerie Nazionali di Arte Antica, Palazzo Barberini e Galleria Corsini
Flaminia Gennari Santori
Cinzia Ammannato
Giuliana Forti
Salerno, Soprintendenza ABAP di Salerno e Avellino
Francesca Casule
Antonio Falchi
Sorrento, Museo Correale di Terranova
Paolo Iorio
Stilo (RC), Collegiata di S. Maria di Ognissanti
Monsignore Francesco Oliva, Vescovo della Diocesi di Locri-Gerace
Stoccolma, National Museum
Susanna Pettersson
Pernilla Stödberg
Torino, Università degli Studi
Stefano Geuna
Franco Augelli
Torino, Soprintendenza ABAP per la città metropolitana di Torino
Luisa Papotti
Sofia Uggè
Massimiliano Caldera
Manuela Arese
Anna Lisa Messina
Urbino, Galleria Nazionale delle Marche, Palazzo Ducale
Luigi Gallo
Giovanni Russo
Vaglia (FI), Fondazione Giuseppe e Margaret De Vito per la storia dell’arte moderna a Napoli
Giancarlo Lo Schiavo
Nadia Bastogi
Vienna, Kunsthistorisches Museum
Sabine Haag
Nina Diernhofer
Si ringrazia per la collaborazione il Nucleo Carabinieri Tutela Patrimonio Culturale di Napoli
Si ringraziano tutti i collezionisti che hanno generosamente voluto contribuire alla mostra preferendo rimanere anonimi.
Si ringraziano
Luana Antonini, Maria Luisa De Stefano, Nicoletta di Giovanni, Maria Antonia Filiasi di Carapelle, Alfonso Furgiuele, Maria Grazia Gargiulo, Sante Guido, Cesare Maiocchi, Giuseppe Mantella, Gian Marco Marchi, Luciana Mustilli, Giovanni Ottone, Carlo Pisani Filiasi, Marco Toscano, Silvia Trisciuzzi, Giorgio Tropeano, Alberto Virgilio.
Si ringrazia per la collaborazione e il supporto alla mostra tutto il personale del Museo e Real Bosco di Capodimonte, i coordinatori del Servizio di Vigilanza e tutto il personale di Accoglienza e Vigilanza del Museo e di Ales