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L’Italia chiamò – Capodimonte oggi racconta… «C’era una volta…». La Vergine annunciata di Giovanni da Nola

Per la rubrica L’Italia chiamò – Capodimonte oggi racconta… Riccardo Naldi, Professore di Storia dell’Arte Moderna presso l’Università degli Studi di Napoli “L’Orientale” specializzato nello studio della produzione pittorica e scultorea del primo Cinquecento a Napoli e nel vicereame, descrive gli inizi della carriera dello scultore Giovanni da Nola, analizzando le caratteristiche della scultura in legno raffigurante la Vergine annunciata, che lo consacra come artista protagonista del suo tempo, tanto da guadagnarsi, dall’umanista Pietro Summonte, l’appellativo di «maestro de intaglio in legno de rilevo».

 

«C’era una volta…
– Un re! – diranno subito i miei piccoli lettori.

No, ragazzi, avete sbagliato. C’era una volta un pezzo di legno».

 

Non racconteremo la nostra storia partendo dagli splendori del giovane re Carlo che, nel Settecento, fece arrivare a Napoli la favolosa collezione che gli aveva lasciato in eredità la madre; e che, per dare degna dimora a tanti capolavori, ordinò che fosse costruita addirittura un reggia, immersa in un parco di delizie, sulla collina di Capodimonte.

 

Vogliamo invece parlare del legno di cui è fatta la figura di questa giovane donna inginocchiata, con un libro aperto tra le mani, concentrata nella lettura, ricoperta dalle sue vesti semplici.

 

Giovanni Marigliano, detto Giovanni da Nola (documentato dal 1508 – 1551/1553)
Vergine annunciata
1508-1511 circa, legno intagliato, dorato e policromato, cm 125 × 60 × 45, inv. n. OA 9010
Napoli, Museo e Real Bosco di Capodimonte
©Pedicinifotografi

 

Se la osserviamo dal davanti, la scabra potenza della materia non si percepisce, perché è occultata dai colori stesi sulla superficie.

Solo se ci avviciniamo a guardare la chioma, balzano agli occhi i tracciati ondulati impressi nel legno con fare già saggio, alternando graffiature leggere ad affondi più marcati per dar corpo alla capigliatura, con le lunghe ciocche che si ribellano alle costrizioni del manto, serpeggiando libere lungo le spalle.

 

Giovanni da Nola
Vergine annunciata, particolare
Napoli, Museo e Real Bosco di Capodimonte
©Pedicinifotografi

 

 

Giovanni da Nola
Vergine annunciata, particolare
Napoli, Museo e Real Bosco di Capodimonte
©Pedicinifotografi

 

Se però ci spostiamo sul retro, allora si spalanca davanti ai nostri occhi come un antro scavato nella roccia.

 

Giovanni da Nola
Vergine annunciata
Napoli, Museo e Real Bosco di Capodimonte
©Pedicinifotografi

 

In alto, vediamo chiaramente i segni della sgorbia, usata per intagliare la forma tondeggiante del cingolo scapolare.

Scorrendo verso il basso la parete, lo sguardo segue i tracciati delle venature e delle fratture, gli sbalzi tonali della superficie, come un muro screziato dallo scorrere del tempo.

 

Giovanni da Nola
Vergine annunciata, particolare
Napoli, Museo e Real Bosco di Capodimonte
©Pedicinifotografi

 

Una giovane donna. La posa umile, la veste sobria, il volumetto tenuto saldo e aperto, con le dita a far da segnalibro, consentono di identificarla in una Vergine annunciata, sorpresa dall’arrivo improvviso dell’angelo mentre era assorta nelle sue preghiere, con quella mano portata al petto, quasi a schermirsi, incredula di essere stata scelta come colei che avrebbe dato alla luce il Salvatore.

L’opera è stata accolta solo di recente fra gli illustri inquilini di Capodimonte.

Il suo arrivo, agli inizi del 2020, si deve a una non banale scelta della Direzione del museo, che ha visto giusto nel dare accoglienza a questa donna, compiendo ogni sforzo pur di farla approdare definitivamente a Napoli.

 

Il primo a individuare l’autore fu Federico Zeri, implacabile segugio nello scovare i pittori nascosti, ma di olfatto assai fine anche nel riconoscere gli scultori, andando ben oltre la cerchia dei soliti, pochissimi nomi osannati dalle folle. L’intagliatore è Giovanni Marigliano, detto Giovanni da Nola, che lavorò a Napoli nella prima metà del Cinquecento.

– Ma come – si chiederanno subito i miei piccoli lettori – un mezzo sconosciuto, per di più un provinciale, finito in mezzo a cotali artisti di nobile fama? –.

Dovete sapere, cari ragazzi, che, nel Quattrocento, Nola era già una cittadina di tutto rispetto, fattasi bella grazie ai danari investiti dai signori del luogo, gli Orsini, e da altre nobili famiglie.

Ma contribuirono anche ricchi borghesi, desiderosi, come gli aristocratici, di essere ricordati dalle future generazioni per aver innalzato palazzi e decorato le chiese di opere d’arte.

 

Questo non vuol dire che a Nola si trascurassero scuola e cultura. Pensate che un certo Ambrogio Leone, diciottenne, fu mandato a fare l’università a Padova – adesso lo si direbbe uno studente fuori sede – dove conseguì, nel 1484, il dottorato in medicina e filosofia (sì, è proprio così: all’epoca le materie scientifiche e quelle umanistiche non erano così rigidamente separate come oggi; e, forse, non era un male…).

Tornato in patria, Ambrogio esercitò come medico, ma non tralasciò le lettere.

Nel 1514 diede alle stampe un libro pieno di uomini e fatti, di godibile lettura, dedicato alla sua città (si intitola De Nola, perché allora si scriveva in latino; ma non temete, esiste una traduzione in italiano).

 

È un caso rarissimo per l’Italia di quei tempi, quando di solito si narrava la vita degli uomini illustri, raccontare invece la storia di una città.

È un libro che nasce da un atto d’amore e di riconoscenza di Ambrogio Leone verso le proprie origini, ma anche dal desiderio di far conoscere com’era fatta la sua terra natia e quanto era vivace e multiforme la vita sociale che vi si conduceva.

E poi non dimentichiamoci che, sempre a Nola, nacque anche Giordano Bruno, il geniale e visionario filosofo arso vivo nel 1600 in Campo de’ Fiori, a Roma, per aver strenuamente difeso le sue idee, non proprio gradite al tribunale dell’Inquisizione.

 

Ma torniamo a Giovanni da Nola. Anche lui abbandonò molto presto la sua città natale, non per emigrare al Nord, ma solo per spostarsi a Napoli, dove, nel 1508, lo troviamo a bottega da mastro Pietro Belverte da Bergamo, un affermato specialista di presepi, con figure intagliate a tutto tondo nel legno e poi ammantate da sontuose e rutilanti policromie.

La dipendenza dell’allievo dal maestro appare evidente, se mettiamo a confronto la nostra Vergine con quella che Belverte eseguì, tra il 1507 e il 1508, per un presepe destinato alla cappella dei Carafa di Ruvo, in San Domenico Maggiore.

 

Pietro Belverte
Vergine adorante
Napoli, chiesa di San Domenico Maggiore, cappella Carafa di Ruvo
©Pedicinifotografi

 

 

Giovanni da Nola
Vergine annunciata
Napoli, Museo e Real Bosco di Capodimonte
©Pedicinifotografi

 

Notiamo, ad esempio, il rigonfiamento della stoffa per dar senso di volume agli avambracci; l’appiombo schiacciato e linearistico delle pieghe, che calano dal grembo fin giù a terra.

Passaggi in Belverte sovrabbondanti, che l’allievo tende a semplificare, preoccupandosi più della sodezza della forma che degli arzigogoli decorativi.

Osserviamo, però, un particolare tecnico molto importante, che marca una differenza fra le due figure.

Mentre la Vergine di Belverte è lavorata a tutto tondo, cioè per essere vista da ogni lato, quella di Giovanni da Nola è intagliata per tre quarti; solo la testa è modellata nella sua interezza.

 

Giovanni da Nola
Vergine annunciata, particolare
Napoli, Museo e Real Bosco di Capodimonte
©Pedicinifotografi

 

Abbiamo già visto, infatti, che c’è un lato, corrispondente al profilo destro del corpo, che non è stato compiuto.

 

Giovanni da Nola
Vergine annunciata
Napoli, Museo e Real Bosco di Capodimonte
©Pedicinifotografi

 

Questa peculiarità ci consente di andare a curiosare ‘dentro’ l’opera, riuscendo a capire meglio come essa fu realizzata.

 

Si intuisce molto chiaramente che l’insieme della figura è l’esito dell’assemblaggio di due tronchi svuotati della polpa del legno e poi uniti da una giuntura centrale; in alto, spicca l’aggiunta di un pezzo arrotondato, corrispondente alla spalla. Sul davanti, queste saldature non si vedono, ricoperte dalla policromia.

 

Il fatto che non sia pienamente finita, è la dimostrazione che la Vergine doveva essere appoggiata, in origine, a un fondale, e che gli unici lati che lo spettatore sarebbe riuscito a vedere erano il profilo sinistro e il prospetto, con la testa pienamente libera.

Se immaginiamo l’opera collocata in questo modo, presumibilmente in un insieme con più personaggi, allora capiamo che Giovanni da Nola, fin da subito, aveva voluto perseguire un obiettivo molto ambizioso: cercare di emulare, nel legno, le tavole d’altare in marmo, con le figure ad altorilievo che spiccano dal piano, dando l’impressione di immagini a tutto tondo.

 

Non è un caso, allora, che l’umanista Pietro Summonte, allievo di Giovanni Pontano e Iacopo Sannazaro, quando nel 1524 si pronunciò sull’artista lo definì «maestro de intaglio in legno de rilevo»: prova inequivocabile che Summonte aveva individuato, con sorprendente lucidità e precisione lessicale, la specifica tecnica nella quale il Nolano diede, da subito, dimostrazione di eccellenza.

 

Giovanni si rivela un giovane sveglio e d’ingegno pronto, perché comprende che la Vergine che intende realizzare, per essere vista nella complessità della sua posa, necessita di essere articolata fondandosi su di un punto di vista ribassato, che consenta di guardarla di sotto in su senza che essa vada incontro a deformazioni ottiche che ne alterino l’armonia delle proporzioni.

 

Giovanni Marigliano, detto Giovanni da Nola (documentato dal 1508 – 1551/1553)
Vergine annunciata
1508-1511 circa, legno intagliato, dorato e policromato, cm 125 × 60 × 45, inv. n. OA 9010
Napoli, Museo e Real Bosco di Capodimonte
©Pedicinifotografi

 

In breve: Giovanni da Nola lavora la sua figura con una mentalità da artista ‘prospettico’. È la riprova che, agli occhi del promettente intagliatore in via di formazione, non era passata inosservata la presenza a Napoli, in quegli anni, di Pedro Fernández da Murcia, geniale pittore spagnolo, imprevedibile creatore di inganni prospettici.

 

Se sostiamo sulla solare e scenografica Adorazione dei pastori, con ogni probabilità dipinta a Napoli entro il 1509, non possiamo che ammirare la grandiosa rovina antica ripresa con una audace inquadratura dal basso.

 

Pedro Fernández
Adorazione dei pastori
Pedrola (Saragozza), collezione dei duchi di Villahermosa
©Pedicinifotografi

 

La posa della Madonna inginocchiata, in particolare, non sembra aver lasciato insensibile il Nolano, che riprende da Fernández anche la tendenza a dare un taglio un po’ squadrato ai volti.

 

Giovanni da Nola
Vergine annunciata, particolare
Napoli, Museo e Real Bosco di Capodimonte
©Pedicinifotografi

 

Mastro Pietro Belverte mise in opera la Madonna che abbiamo osservato nel 1508, quando aveva in bottega Giovanni.

 

Pietro Belverte
Vergine adorante
Napoli, chiesa di San Domenico Maggiore, cappella Carafa di Ruvo
©Pedicinifotografi

 

La volta della cappella era stata affrescata proprio da Fernández.

Al giovane ragazzo giunto da Nola bastò sollevare lo sguardo dalla grotta del presepe al cupolino nel soffitto, per rimanere catturato dalla sfrenata fantasia di quello spagnolo un po’ strambo, ma capace di suscitare stupore.

 

Sembra un sortilegio, ma le sembianze della Vergine di Capodimonte rivivono in quelle di María Osorio Pimentel, la moglie che il viceré Pedro de Toledo volle inginocchiata accanto a sé nello spettacolare sepolcro fatto realizzare a Giovanni da Nola, ormai anziano, intorno al 1545-1550.

 

Giovanni da Nola
Vergine annunciata, particolare
Napoli, Museo e Real Bosco di Capodimonte
©Pedicinifotografi

 

 

Giovanni da Nola
María Osorio y Pimentel, particolare del Sepolcro di Pedro de Toledo
Napoli, chiesa di San Giacomo degli Spagnoli
©Pedicinifotografi

 

Ma questo avvenne quando l’artista, da intagliatore del legno, era divenuto, come d’incanto, uno dei grandi d’Europa nello scolpire il marmo di Carrara.

 

Che c’entri qualcosa la Fata Turchina?

 

 

 

Per approfondire:

 

  • Ferdinando Bologna, Problemi della scultura del Cinquecento a Napoli, in Sculture lignee nella Campania,
    catalogo della mostra [Napoli, Palazzo Reale, 1950], a cura di Ferdinando Bologna e Raffaello Causa,
    Napoli, Stabilimento Tipografico Montanino, 1950, pp. 153-182 (pp. 165-170; pp. 176-179, nn. 71-77).
  • Riccardo Naldi, Un’ipotesi per l’affresco di Pedro Fernández in San Domenico Maggiore a Napoli, in
    «Prospettiva», 42, 1985, pp. 58-61.
  • Francesco Abbate, La scultura napoletana del Cinquecento, Roma, Donzelli, 1992, pp. 181-258.
  • Letizia Gaeta, Sulla formazione di Giovanni da Nola e altre questioni di scultura lignea del primo ‘500, in
    «Dialoghi di storia dell’arte», 1, 1995, pp. 70-103.
  • Riccardo Naldi, Giovanni da Nola tra il 1514 e il 1516, in «Prospettiva», 77, 1995, pp. 84-100.
  • Riccardo Naldi, Giovanni da Nola e altre presenze di matrice stilistica napoletana, in Riccardo Naldi, Fabio
    Speranza, La prima metà del Cinquecento, in Scultura lignea in Basilicata dalla fine del XII alla prima metà del
    XVI secolo, catalogo della mostra (Matera, Palazzo Lanfranchi, 1° luglio-31 ottobre 2004), a cura di
    Paolo Venturoli, Torino-Londra-Venezia-New York, Umberto Allemandi & C., 2004, pp. 41-53, 60-61,
    63-67; pp. 194-209, nn. 40-44.

 

 

 

Il testo di  Riccardo Naldi è inserito nell’iniziativa “L’Italia chiamò – Capodimonte oggi racconta”

 

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